Unit 1 - I DCA nella storia e determinanti sociali
Il cibo come organizzatore della società
Il nucleo centrale dei Disturbi del Comportamento alimentare è rappresentato dalla coppia cibo/nutrizione – corpo che, nella storia della umanità, ha assunto funzioni, simboli e significati specifici. La necessità biologica del cibo, il bisogno della fame e il suo soddisfacimento, espressione dell'istinto di sopravvivenza, ha indotto l’individuo a scoprire e impegnarsi in attività quali l'agricoltura, la pesca e l'allevamento per procacciarselo. Il cibo, perciò, ha assunto e assume una funzione di polo organizzatore della società determinandone i fattori economici e, di conseguenza, politici. Esso assume anche la funzione simbolica, manifestata attraverso il corpo magro o grasso, di accettazione/ribellione delle regole sociali. Il corpo magro e affamato, fino alla metà del secolo scorso, ha sempre espresso povertà e sudditanza, mentre il corpo grasso ricchezza e potere. Oggi, i modelli sociali hanno subito un'inversione relegando il grasso a espressione di inettitudine e inadeguatezza, mentre il corpo magro è divenuto simbolo di volitività e successo. L'uso del cibo e la conseguente espressione nel corpo hanno assunto il significato di accettazione/espulsione da parte della società a secondo del predominio di differenti aspetti religiosi, economici e mitici.
«Conserva e tratta il cibo come se fosse il tuo corpo, ricordando che nel tempo il cibo sarà il tuo corpo». (Benjamin Ward Richardson)
Il cibo
La necessità di nutrirsi per sopravvivere ha spinto l’uomo alla ricerca del cibo e a costruire i modi con cui procurarselo. Il cibo è, pertanto, l’oggetto che risponde ai bisogni del corpo, ma assume anche una funzione simbolica e sociale. La caccia, la pesca, l’allevamento, nati dall’esigenza di procurarsi il cibo, sono diventati, nel corso dei secoli, anche un polo aggregante di condivisione gruppale. Si sono trasformati in organizzazioni con una valenza sociale, economica e politica. Il pasto, il ritrovarsi intorno a una tavola, hanno assunto il significato di manifestazione di ruoli, funzione e potere del nucleo di appartenenza, trasformando l’atto del nutrirsi in un rituale ricco di significati.
I racconti e le arti raffigurative hanno tramandato il valore economico e sociale del cibo attraverso la rappresentazione dello stesso o dei suoi effetti sul corpo. La mancanza di cibo come nelle carestie, o l’abbondanza dello stesso come nell’epoca attuale, hanno portato gli individui a combattersi per la sua conquista o a unirsi in forma di condivisione e convivialità. L’atto della nutrizione ha assunto forme rituali come il pasto, che segnalano l’appartenenza ai vari gruppi culturali, alle diverse etnie.
Il cibo/2
Il pasto e la disposizione a tavola dei commensali sono diventati, nel corso dei secoli, espressione del potere gerarchico delle persone, assumendo un valore di rappresentazione sociale, di rispetto e riconoscimento dell’autorità sia all’interno della famiglia, che nelle istituzioni. Nella famiglia, per secoli, il primo a essere servito dalla figura deputata all’accudimento, in genere la donna, è stato il maschio. Con questo rituale il gruppo o la famiglia riconosce al padre, e cioè al maschio, la funzione di chi consente la sopravvivenza e gli conferisce potere e autorità.
Nell’ambito della famiglia, il cibo assume anche valore affettivo. Spesso, quando le condizioni economiche erano insufficienti, attraverso la scelta del “pezzo migliore” o di una maggiore quantità, la figura femminile, la madre, testimoniava la sua predilezione verso l’uno o l’altro figlio. Il cibo diventa, così, il veicolo e l’espressione della qualità del legame affettivo, racchiude esperienze di amore come di rifiuto e di conflittualità.
Intorno al cibo e alla nutrizione si sono sempre mosse emozioni di odio e di amore. Il cibo ha assunto la funzione simbolica della organizzazione emotiva e affettiva degli individui.
Cibo e potere: la deprivazione
Come già ricordato, il rifiuto del cibo o la sua assenza sono state e sono espressione di potere, forza economica e dominio di una società sulle altre o di gruppi sociali. La storia fornisce grandi esempi di tale affermazione. In epoca recente, la vicenda degli ebrei affamati nei campi di sterminio nazista, il loro corpo emaciato e sofferente è stato l’accusa e la prova dell’aberrante ideologia di supremazia di una razza, quella ariana, sulle altre. I campi di concentramento sono stati concepiti come affermazione assoluta di supremazia e del potere di sopraffazione.
Oggi, la fame dei paesi del Terzo Mondo è ancora affermazione del potere economico delle nazioni cosidette evolute e delle necessità che sottendono alla conservazione del potere politico. Il controllo sul cibo implica, in un’analisi storica, l’espressione di una condizione di potere e autorità stabilendo il confine fra gruppi sociali deboli e forti.
Cibo e potere: la deprivazione/2
Il controllo del cibo ha assunto anche la funzione di protesta sociale e di ribellione nei confronti del sistema politico dominante. Come esempio può essere ricordata l’opposizione pacifica del Mahatma Ghandi, con il significato di opposizione al potere politico imperante, riscatto e autodeterminazione dei popoli. Gandhi partecipò a due famosi scioperi della fame: il primo di protesta contro le regole inglesi in India, il secondo contro le regole autocratiche della nuova India indipendente. Egli riprese la pratica del dharma, una forma di sciopero della fame dove il manifestante digiuna di fronte alla porta dell'obiettivo.
Ancora oggi, la protesta civile diventa protesta eclatante per l’affermazione di diritti negati, se si è manifestata attraverso il rifiuto del cibo. Per esempio, ricordiamo, in Italia, lo sciopero della fame di Marco Pannella per il riconoscimento e la legalizzazione dei diritti civili delle coppie, della donna (divorzio, aborto), negli anni '70.
Consultare per approfondimenti: Cibo è potere. Per una libertà alimentare
Cibo e funzione simbolica: Il digiuno sacro
Il digiuno come rifiuto ad assumere cibo ha assunto, nel corso dei secoli, differenti significati connessi alla cultura dominante dell’epoca, in particolare ai fattori religiosi ed economici. È stato investito di una sacralità il “Digiuno Sacro”. Quest’ultimo, nella interpretazione di Bell (1985 e Vandereychen e Van Deth(1994), è stato letto come:
- avvicinamento a Dio, attraverso la repressione del bisogno della fame con valore catartico e di avvicinamento a Dio;
- punizione per i propri peccati,come forma di espiazione tesa alla conquista del Paradiso.
Così, il rifiuto del cibo struttura la nascita dell’Ascetismo come strumento per raggiungere Dio o come strumento di trasformazione accettabile della cronica carenza legata alle condizioni economico-sociali nelle varie epoche storiche. Il digiuno ha generato anche fascinazione, acquisendo carattere destabilizzante all'interno delle comunità. Ha assunto un valore di "perturbante" che, come vedremo, è un elemento fondamentale del modello di disturbo etnico, determinando l'espulsione e l'isolamento di coloro che quel digiuno praticavano.
Cibo e funzione simbolica: il digiuno
La diade Fascinazione/Espulsione è ben rappresentata dagli “artisti della fame”, scheletri viventi che esibivano il loro corpo in pubblico suscitando fascinazione e curiosità in cambio di cibo e denaro. Franz Kafka, nella novella "Il Digiunatore", descrive lo stato d’animo dei soggetti e l’insorgere del sospetto che, nel rifiuto del cibo, ci fosse un inganno perché ciò che veniva letto dal popolo come una prodezza, espressione di autocontrollo ferreo e di coraggio, non era altro che seguire ciò che era più facile. Questi individui avevano il terrore di mangiare e di perder la loro caratteristica di attrazione; il corpo scheletrico, d'altronde, aveva una funzione rassicurante sulla loro capacità di generare attenzione e sul loro sentimento di forza e potere.
In sintesi, l'analisi storica conferma che cibo e corpo sono una struttura inscindibile con significati storici, culturali e simbolici che permeano la cultura della società in ogni epoca.
Il corpo
“Non muovere mai l'anima senza il corpo né il corpo senza l'anima, affinché difendendosi l'uno con l'altra, queste due parti mantengano il loro equilibrio e la loro salute.”
Il corpo
Il corpo, nella sua rappresentazione mentale (Sé Corporeo), entra nella strutturazione del senso di identità del soggetto, cioè del Sé. Esso è anche rappresentazione dei modelli imperanti della società a loro volta determinati dalle condizioni storico-economiche e culturali. Così, il corpo diviene anche simbolo dei valori culturali della società in un determinato periodo storico. Esso, quindi, è l’espressione dell’identità del soggetto, ma anche della sua collocazione all’interno dell’ambiente in cui vive. In un soggetto "normale", che ha un preciso senso del suo essere al mondo, cioè della sua identità, i modelli culturali sono uno stimolo di confronto critico e dialettico che rafforza l’essere presente del soggetto stesso.
I soggetti con DCA, che hanno uno sviluppo non integrato della propria identità, aderiscono ai modelli culturali nel tentativo di costruire un senso legittimante del proprio essere al mondo.
Unit 2 - Etnopsichiatria e DCA
Introduzione all'Etnopsichiatria
L’Etnopsichiatria è un ramo della psichiatria che studia gli aspetti particolari, tipici dei disturbi psichici, nei diversi gruppi etnici e sociali, in rapporto agli elementi culturali che ne determinano la classificazione e i metodi di cura. Si occupa di definire i concetti di normalità e patologia in rapporto alle caratteristiche storiche, sociali, culturali, economiche e sintomatologiche dei diversi gruppi etnici studiati, proponendo una concezione della malattia mentale in cui interagiscono significativamente le variabili sociali e culturali che fungono da modello specchio, in opposizione all’idea del disturbo psichico biologicamente e universalmente strutturato.
Etnopsichiatria: cultura e adattamento
Uno dei maggiori esponenti dell’Etnopsichiatria è George Devereux. Il perno principale della sua teoria è che alcuni disturbi psichici sono fortemente connessi, addirittura appartengono a quella cultura di cui esprimono le devianze. Quando ciò accade, si configura il disturbo etnico. Esso si basa sui concetti di cultura e adattamento.
Per cultura si intende "una realtà al di sopra delle parti, esterna e superiore agli individui. Le regole, le credenze e le modalità di comportamento accettate subiscono un processo di reificazione che a sua volta influenza le persone. L’insieme di questo codice costituisce un sistema di difesa inconscio che la gruppalità mette in atto per difendersi dall’emergenza degli istinti, stabilendo delle regole" (Devereux). Pertanto, ogni individuo si adatta alle norme culturali della società in cui vive.
Etnopsichiatria: Adattamento
L’adeguamento, che è l'altro elemento insieme alla cultura strutturante il pensiero di Devereux, introduce il concetto di adattamento, che attinge alle risorse dell’individuo sano (quali maturità affettiva, razionalità, senso di realtà) e gli assicura la sopravvivenza in una società malata. Si distinguono due tipi di adattamento: interno ed esterno.
L’adattamento interno assicura al soggetto la sopravvivenza in una società malata. Attinge alle risorse dell’individuo sano quali: maturità affettiva, razionalità, senso di realtà.
L’adattamento esterno è la capacità di ciascun individuo di regolare le proprie istanze in relazione all’ambiente che lo circonda. È necessario per la sopravvivenza dell'individuo in qualsiasi società. "La malattia mentale assurge a reinterpretazione delle regole o di parti di esse al fine di contenere o soddisfare le istanze malate dei singoli individui". L’adattamento interno è la capacità dell’individuo di supportare ed equilibrare le proprie emozioni con i bisogni dell’organizzazione cognitiva.
Etnopsichiatria: Normalità/Anormalità
Sulla base del sucesso o insucesso dei processi di adattamento, si organizza la diade normalità/anormalità.
Secondo Devereux: «la struttura fondamentale della psichiatria è il dualismo tra normale e anormale che ne rappresenta anche l’assunto di base, strutturandone le sue basi scientifiche».
La normalità esprime l'allineamento o meno dell'individuo alla struttura culturale e sociale. L'aspettativa di ciascun individuo che gli altri si comportino allo stesso modo seguendo le stesse regole e norme determina la nascita delle convenzioni sociali e dei comportamenti abituali. I comportamenti o "le condotte" che deviano dagli standard comportamentali approvati dalla maggioranza degli individui definiscono il concetto di "anormalità".
Etnopsichiatria: Normalità/anormalità 2
- La normalità è definita all'interno della cultura e della società di riferimento. Cosi, la definizione di comportamenti patologici è relativa alle credenze di una determinata cultura o epoca storica e, al contrario, possono essere considerati normali in un'altra. I DCA sono un esempio di tale concetto. Gli oggetti patologici: cibo e immagine corporea attengono e permeano la cultura, essendo considerati veicolo di socializzazione.
- La normalità nella società è espressa dalla produzione di materiale culturale, condiviso da tutti. La manifestazione eclatante degli eccessi, indotti dallo stesso materiale culturale, è considerata "perturbante", determina la necessità di espulsione attraverso la definizione di patologia, come espressione a carattere di difesa dei propri miti e materiali culturali. Pertanto, "i soggetti malati manifestano e sintetizzano attraverso il loro comportamento quei materiali perturbanti e sconfessati dalla società che diventano sintomi senza essere stati deformati (la magrezza e l’anoressia)."
Disturbo etnico: Definizione
Il disturbo etnico è definito dai seguenti parametri (G. Devereux):
- il disturbo si verifica nella cultura in questione, rispetto ad altri tipi di patologia psichica;
- se esiste una certa continuità tra i sintomi del disturbo, tra le loro dinamiche e gli elementi “normali” della cultura, il disturbo costituisce l’espressione intensa, prossima al confine patologico, di forme precliniche;
- il disturbo è la tappa finale comune per l’espressione del disagio psichico e di una grande varietà di problemi personali;
- i sintomi non sono solo l’estensione e nello stesso tempo l’esagerazione caricaturale di atteggiamenti naturali ricorrenti, ma includono spesso comportamenti che, in situazioni normali, vengono considerati altamente positivi;
- il disturbo è un disordine fortemente strutturato, un profilo di devianza, cioè un “modello di cattiva condotta” che dà la possibiltà a chi lo attua di comportarsi in modo deviante e irrazionale, pur rimanendo in un certo senso all'interno di ciò che è socialmente accettato.
Disturbo Etnico/2
Devereux afferma che, nel modello dei disturbi etnici, la cultura fornisce al soggetto affetto da disagio psichico un modello di comportamento. In situazioni di elevato stress, la cultura fornisce essa stessa all’individuo indicazioni sulle modalità di comportamento da adottare, modalità che Devereux indica come «modelli di cattiva condotta». Nel caso dei disturbi etnici, la spinta della cultura di appartenenza dei soggetti, sostiene l'accettazione e la normalità; nello stesso tempo, se il soggetto si ammala gli fornisce un modello di comportamento da adottare.
«Ogni società comporta non soltanto aspetti funzionali, mediante i quali essa afferma e mantiene la propria integrità, ma anche un certo numero di credenze, dogmi e tendenze che contraddicono, negano e scalzano non soltanto le operazioni essenziali del gruppo, ma talora persino la sua esistenza stessa». (Devereux).
Disturbo etnico/3
Nei soggetti affetti da disturbi etnici, secondo la prospettiva tracciata de Devereux, la personalità del soggetto malato non sarebbe così disorganizzata da determinare una ribellione contro l’insieme delle norme sociali. Su tale assunto si basa la definizione "modelli di cattiva condotta". Quest'ultimo, configura comportamenti socialmente strutturati, in cui si verifica l’assunzione di «valori sociali antisociali che permettono all’individuo di essere antisociale in una maniera socialmente approvata».
La cultura, dunque, mette a disposizione di individui sottoposti a forti tensioni una serie di difese sotto forma di sintomi prestrutturati. La principale conseguenza di questa strutturazione culturale dei disturbi etnici è quella di rendere prevedibile il comportamento del malato.
Esiste, secondo tale teoria, una relazione di reciprocità fra disturbo mentale e società. Se il disturbo attinge la sua consistenza nei vettori culturali della società in cui si verifica, i sintomi culturalmente costruiti possono essere visti come dei segnali attraverso i quali l’individuo disturbato informa la società circa la sua forma di devianza (malattia mentale).
In ogni disturbo etnico, secondo Devereux, «la struttura del comportamento dell’individuo anormale è non solo conforme a quanto la società si aspetta, ma è anche spesso del tutto opposta alle nostre idee culturali circa la maniera in cui si comporta il pazzo».
Etnopsichiatria: Disturbo idiosincratico
All’interno del disturbo etnico, che rappresenta il contenitore generale, si distinguono i disturbi-tipo propri del modello di società che li produce.
Una tipologia di disturbo-tipo è il disturbo idiosincratico. Esso viene definito anche come disturbo “modello” di una data cultura. Significa che i materiali culturali condivisi da quelle forme di società possono confluire nella struttrazione del sintomo. In questo modo si costituisce un bipolarismo fra società e individuo malato.
Nel caso dei DCA, la nostra società, riconoscendo un soggetto affetto per esempio da anoressia, lo identifica come portatore di devianza. La devianza è costituita dal fallimento del mito e dell’idealizzazione: magrezza = seduzione = successo.
L'individuazione dell’anoressia come malattia consente alla società di espellere il fallimento come deviante, di conservare il proprio mito e di attivare, attraverso il processo di cura, il recupero del perturbante in un assetto di normalità.
Al contrario, l’individuo malato, come nel caso dei DCA, con una fragile strutturazione del proprio senso di identità, attraverso la proiezione del Sé sul Sé Ideale, mito della società (Magrezza = Identità riconosciuta e accettata) leggittima il proprio senso di essere al mondo, utilizza in forma vicariante le regole mitizzate della società come chiavi di lettura dell’organizzazione sociale e affettiva. Contiene, attraverso tale processo di adesione, l’angoscia di annientamento del Sé e la propria incapacità a essere nel mondo.
Risorse della lezione
- Analisi psicosociale dei Disturbi del Comportamento Alimentare - DCA
- Quiz: Disturbi del comportamento alimentare - lez. #1
- Psicopatologia Generale: Lo sviluppo psicologico e il legame affettivo
- Quiz: Disturbi del comportamento alimentare - lez. #2
- Psicopatologia Generale : Immagine Corporea
- Quiz: Disturbi del comportamento alimentare - lez. #3
- Psicopatologia generale: Cibo e nutrizione
- Quiz: Disturbi del comportamento alimentare - lez. #4
- Anoressia
- Quiz: Disturbi del comportamento alimentare - lez. #5
- Anoressia: terapia fisica
- Quiz: Disturbi del comportamento alimentare - lez. #6
- Bulimia Nervosa
- Quiz: Disturbi del comportamento alimentare - lez. #7
- Binge Eating Disorder
- Quiz: Disturbi del comportamento alimentare - lez. #8
- Obesità
- Quiz: Disturbi del comportamento alimentare - lez. #9
- Obesità: Psicopatologia
- Quiz: Disturbi del comportamento alimentare - lez. #10
- Obesità: complicanze e trattamento chirurgico
- Quiz: Disturbi del comportamento alimentare - lez. #11
- Night Eating Syndrome
- Quiz: Disturbi del comportamento alimentare - lez. #12
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Immagine slide 9
Immagine slide 13
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