Unità 1 – Dante e il suo tempo. La formazione
La cronologia delle principali opere
Dante nasce a Firenze nel 1265 e muore a Ravenna nel 1321.
Tra il 1292-1293 (o più probabilmente negli anni 1293-1295) riunisce sotto il titolo di Vita nova le composizioni degli anni precedenti tenute insieme da ragionamenti esplicativi in prosa; di qui il termine "prosimetro" che si dà dell’opera. Probabilmente tra la fine del 1301 e l’inizio del 1302 viene condannato al rogo; inizia anche il suo esilio. Tra il 1304 e il 1306, pur tra la nuova condizione di esiliato, Dante scrive un altro prosimetro, il Convivio (il banchetto di sapere al quale erano invitati i molti, tra maschi e femmine, che conoscevano il volgare), e il De Vulgari eloquentia, destinato a ricercare quel volgare "illustre, cardinale, aulico e curiale" idoneo a sostituire la lingua latina. Le due opere sono incompiute. Nel 1306 riprenderà la scrittura dell’Inferno avviata già a Firenze; terminerà la cantica ai primi del 1309. Agli anni 1311 e 1313 è da ascrivere il De Monarchia. Tra il 1315 e il 1316 completa la cantica del Purgatorio. Nel 1319 termina il Paradiso.
La formazione
La scuola e l’Università
Ai tempi di Dante la struttura scolastica ed universitaria era alquanto formata nell’organizzazione didattica. La scuola e l’università erano sempre legate al potere politico; così le università più famose in quel tempo, Parigi e Bologna, erano sottomesse rispettivamente al re di Francia ed all’Imperatore, così come dal 1224 l’Università di Napoli era sottomessa al suo fondatore Federico II. Tutte le altre università dipendevano dal potere papale. L’università del tempo era in sostanza una università europea perché frequentata da studenti provenienti da diverse nazioni; gli studenti erano accomunati dall’uso della lingua latina, utilizzata per le lezioni e per la scrittura delle opere. Le scuole più accreditate erano rette dai magistri, gli intellettuali del tempo, che vi chiamavano ad insegnare altri loro colleghi.
Nel Duecento gli uomini, a seconda del grado di capacità di leggere e scrivere, ovvero anche della cultura di cui erano in possesso, venivano suddivisi in due gruppi:
- illetterati (definiti anche idioti, semplices, rudes): erano “analfabeti”: ovvero non sapevano né leggere né scrivere, né conoscevano il latino;
- letterati: quelli che sapevano leggere e scrivere, ed utilizzavano queste conoscenze nei discorsi orali e scritti. In genere i letterati erano i chierici, coloro che si dedicavano alla vita religiosa ed al raggiungimento di una perfezione morale.
L’intellettuale Dante
Tra i letterati vi erano quelli che assumevano il titolo di
- magister: colui che era in possesso di una qualità morale da elevarlo al di sopra degli altri e del quale non si poneva in discussione la dignità. Era la figura più alta tra gli intellettuali del tempo.
- professor: indicava la persona che offriva il proprio sapere con boria, presunzione ed eccessiva verbosità.
- intellettuale: “persona che, in virtù di un’elevata preparazione culturale accompagnata da una notevole intelligenza, esercita una profonda influenza in seno a una classe sociale, a una categoria, a un partito politico, in modo da costituirne la guida, l’elemento dirigente, la mente organizzatrice” (dal Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia).
La scuola. Lo studio. L’arte del Trivio e del Quadrivio
La memoria e la mente erano elementi imprescindibili per studiare in assenza del libro cartaceo e del costo eccessivo dei codici pergamenacei. Il magister leggeva ad alta voce dall’antologia del tempo (Liber Esopi) e i discenti dovevano memorizzare lo scibile.
La scuola era privata e si divideva in due gradi o ordini: Trivio e Quadrivio
- Il primo ordine di studio, definito l’Arte del Trivio, prevedeva l’apprendimento delle discipline basilari: Grammatica, Logica e Retorica. Queste tre discipline consentivano allo studente di organizzare e di scrivere il proprio pensiero.
- Il secondo ordine di studio, definito l’Arte del Quadrivio, comprendeva lo studio di queste discipline: Aritmetica, Geometria, Musica e Astronomia.
Le quattro discipline impartite in questo ciclo scolastico contribuivano ad allargare le conoscenze dell’uomo, necessarie per condurre una vita “pratica” su questa terra.
Con questi insegnamenti, tesi soprattutto alla formazione scientifica del discente, si completava il percorso di studio “obbligatorio” per poter proseguire gli studi.
Lettura: Arti liberali, di Giuseppe Saitta e Paolo D'Ancona
Lettura: Artes del trivio e del quadrivio
Lo studio conclusivo: Teologia
Lo studio della Teologia chiudeva tutto il percorso di studio dell’uomo del Trecento.
L’apprendimento (ma anche l’insegnamento) della Teologia era considerato il fine ed il coronamento dell’impegno e della carriera di un intellettuale.
All’insegnamento della Teologia si giungeva dopo aver dimostrato pubblicamente di essere esperto della materia. Questo insegnamento veniva impartito o da appartenenti ad ordini religiosi (ad esempio: Domenicani - Chiesa di Santa Maria Novella e da Francescani - Chiesa di Santa Croce, in Firenze) o da docenti nelle Università.
All’interno di questa struttura sociale Dante divenne l’intellettuale del proprio tempo, ovvero colui che, per la propria preparazione culturale accompagnata da una notevole intelligenza, si elevava al di sopra degli altri ed esercitava in seno alla classe sociale, ad una categoria, ad un partito politico un peso tale da assumere la guida, divenendo di esso elemento dirigente e mente organizzatrice.
La politica ai tempi di Dante
A metà del Duecento Firenze fu dilaniata dalla lotta tra Guelfi (che appoggiavano la politica del Papa) e Ghibellini (che erano i sostenitori del potere laico espresso dall’Imperatore). Dante vi nasce da famiglia guelfa sotto la dominazione ghibellina e lo strapotere laico che si riconosceva in Manfredi. Ma con la morte di questi e la terribile fine del giovane Corradino, la Toscana fu travagliata da lunghe lotte tra le due fazioni, alle quali per certi aspetti contribuirono anche tre Pontefici (Clemente IV, Gregorio X e Bonifacio VIII) con l’invio, inutilmente, di loro “paciari” (Carlo d’Angiò, Matteo d’Acquasparta, Cardinale Latino e Carlo di Valois). Sanguinose battaglie annientarono le diverse fazioni dei fiorentini, che si alternarono in esilio. Successivamente all’interno del partito dei Guelfi si creò una scissione; nacquero due parti, Neri e Bianchi; tale suddivisione, nata a Pistoia, si diffuse rapidamente anche a Firenze: i Cerchi rappresentavano i Bianchi (per i quali parteggiava Dante), mentre i Donati proteggevano i Neri. Dante partecipò alla vita politica dal 1295 al 1301 ricoprendo anche la carica di Priore. Ad inizio del 1302 fu bandito da Firenze.
Lettura: Guelfi e Ghibellini , di Fabrizio Gabrielli
La scuola siculo-toscana
Quando Dante negli anni giovanili si avvia alla poesia la nostra penisola ha sperimentato già diverse forme poetiche attraverso la scuola siciliana e quella toscana. La prima nacque attorno a Federico II di Svevia, che nella sua corte, tra Palermo, Messina, Napoli, Puglie e Italia settentrionale, accolse le menti più attive, che sapevano anche poetare: Giacomo da Lentini, Pier delle Vigne, Giacomino Pugliese, Rinaldo d’Aquino, Guido e Oddo delle Colonne, Cielo d’Alcamo, lo stesso Federico II ed il figlio Enzo. Questa scuola elevò a lingua letteraria il dialetto siciliano e meridionale. Il valore di questa scuola sta soprattutto nell’aver avviato il nostro linguaggio e il nostro gusto verso un’educazione lirica ed un impegno d’arte. Dopo la caduta degli Svevi, la scuola siciliana si estinse, trasferendo alla cultura toscana gran parte delle proprie motivazioni. Fu un trapasso decisivo per la nostra lingua, anche se la qualità della lirica risulta scaduta a confronto della siciliana. I maggiori esponenti furono Guittone d’Arezzo e Bonagiunta Orbicciani da Lucca. L’ispirazione toscana è meno elegante, più arida, mentre il contenuto amoroso è come esaurito.
Il Dolce stil novo
Con Guinizzelli, Cavalcanti, Dino Frescobaldi, Lapo Gianni, Gianni Alfani ed altri Dante fece parte di quella nuova scuola poetica ch’egli definì nel canto XXIV del Purgatorio, nell’incontro con Bonaggiunta Orbicciani, esponente della scuola toscana, "dolce stil novo".
Avviato da Guinizzelli e sviluppatasi attorno ad un dibattito filosofico sui concetti di Amore e Nobiltà, questo nuovo stile poetico si distanziava dai precedenti toscani, ma anche siciliani e provenzali. Secondo Dante sia i poeti siciliani che toscani non avevano seguito l’ispirazione dell’anima, che si traduce in parole e ritmi.
Attraverso questa coscienza innovatrice l’amore è sentito come virtù interiore che si identifica con la nobiltà spirituale, mentre la bellezza femminile e l’immagine della donna diventano tramite verso il divino, e acquistano o fingono i valori della Fede.
Lo stil novo segnò una vera riforma nella nostra tradizione letteraria. Questo movimento poetico, che intendeva elaborare un concetto dell’esperienza sentimentale in senso idealista, mirava ad instaurare una sensibilità estetico-spirituale che fosse idonea ad educare all’interno della società borghese e laica di Firenze una più libera aristocrazia dell’intelligenza.
Riepilogo
Unità 2 - Dalla Vita nova alla Commedia
L’esperienza poetica giovanile
La formazione poetica dantesca si muove all’interno della tradizione della poesia siculo-toscana che aveva in Guittone d’Arezzo il principale esponente. Già da questi anni il giovane fiorentino mostra di poter percorrere proprie vie sperimentando nuovi metri, nuovo lessico e nuovi temi, che lo conducono a cimentarsi con il registro della lirica amorosa, comico-realistica e con lo stile ‘aspro’ delle rime ‘petrose’. Furono anni nei quali il poeta sperimentò e frequentò molti altri poeti, portandosi anche a Bologna, dove poetava Guido Guinizelli. Decisiva per la formazione poetica di Dante fu l’amicizia con Guido Cavalcanti, con cui condivise una concezione elitaria della poesia, riservata ai ‘fedeli d’Amore’ e che animò il gruppo degli stilnovisti fiorentini. Pertanto, si può dire che l’amicizia tra Dante e Cavalcanti era fondata sul riconoscimento di una comune «altezza d’ingegno». Dante cominciò a distaccarsi dallo stile e dalle idee di Cavalcanti solo nella seconda parte della Vita nova, ossia dopo l’approdo alle cosiddette «nove rime».
Le Rime
Con il titolo di Rime si designano tutti i componimenti della formazione giovanile fino ai primi anni dell’esilio, scritti tra il 1283 ed il 1307, ad esclusione di quelli che poi costituiranno la parte poetica del prosimetro Vita nova, le cosiddette Rime petrose, come piacque definirle a Vittorio Imbriani, e nel Convivio. La pratica suddivisione suggerita da Gianfranco Contini in sette sezioni, che impegnano criteri cronologici e tematici, testimonia il continuo sperimentalismo stilistico di Dante, strettamente correlato ad un’incessante evoluzione spirituale, che raggiungerà poi il suo culmine nella Commedia. All’interno della raccolta infatti si possono individuare almeno quattro registri stilistici:
- quello ‘dolce’ della lirica stilnovistica;
- quello elevato delle canzoni civili del tempo dell’esilio;
- quello comico-realistico della tenzone con Forese Donati (3 sonetti di Dante e 3 di risposta di Forese);
- quello ‘aspro’ delle rime ‘petrose’, caratterizzato da parole dal suono duro e con un lessico difficile e complesso anche per la presenza di numerose similitudini e metafore, ad imitazione del trobar clus provenzale e del poeta Arnaut Daniel.
La Vita nova
Dante ricostruisce con la Vita nova (nel doppio senso di vita giovanile ma anche di vita rinnovata dall’esperienza d’amore) il cammino della sua educazione sentimentale e la sua storia di poeta d’amore. Sanguineti parla di Bildungsroman, di ‘romanzo di formazione’, espressione che sottolinea proprio che l’opera è la registrazione delle tappe di un’educazione sentimentale e artistica condotta nei modi della lirica amorosa e riproposta su un piano di alta intellettualità. Si tratta di un singolare canzoniere, diviso in rime in vita e in morte di una donna, che contiene una promessa finale: non l’abbandono dell’idea giovanile, non il distacco da un’immagine di grazia sorridente, ma, al contrario, la sua sublimazione e il suo perfezionamento. Tale promessa sarà mantenuta perché la Beatrice della Commedia è la donna nei cui occhi il poeta vede il Paradiso, ma è anche il simbolo e la figura delle più alte virtù dell’intelligenza e del sapere cristiano.
Il Convivio
Nei primi anni del suo esilio, Dante concepisce il disegno di 'imbandire un banchetto' di sapienza a cui possano accostarsi coloro che per vari motivi sono stati finora estranei alla cultura. Le vivande di un simile banchetto sono alcune delle sue canzoni, che trattano di amore e virtù, mentre il pane è costituito da un ampio commento in prosa. Alla tavola del sapere non sono invitati i dotti ma gli «illetterati»; Dante infatti dice di non appartenere alla «beata mensa» dei sapienti, ma di essersi messo ai piedi della tavola, dove si mangia il «pan de li angeli», per raccogliere ciò che cade e metterlo da parte per offrirlo al suo convivio a cui invita tutti coloro che non hanno avuto la possibilità di studiare. Poiché costoro non hanno familiarità con il latino, Dante si rivolge a loro nella lingua volgare. Lo scopo che l’opera si prefigge è chiaramente indicato dallo stesso Autore con la frase «movemi timore d’infamia e desiderio di cultura dare», che offre una chiave d’interpretazione e permette di cogliere il passaggio dal motivo biografico-psicologico a quello sociale-educativo. L’infamia di cui Dante parla è anzitutto quella che potrebbe derivargli dalla sua condizione di esiliato dalla «bellissima e famosissima Fiorenza»; il Convivio deve quindi testimoniare la sua dignità di uomo, la saldezza morale e culturale.
De vulgari eloquentia
L’affermazione graduale ma costante del volgare italiano sul latino contribuisce, nel corso del Medioevo, a spostare i termini della cosiddetta ‘questione della lingua’, che dalle dispute dotte sui rapporti tra volgare e latino e sulla differente dignità letteraria si fisserà soprattutto sullo studio e sull’elaborazione di una lingua unitaria e nazionale. Va da sé che, mancando all’Italia un’unità sotto il profilo geografico e storico-politico, anche il problema della lingua ha incontrato numerose difficoltà, di natura non solo interna. A Dante spetta l’indubbio merito di aver individuato le due linee fondamentali della questione linguistica che in seguito, soprattutto nel corso del Cinquecento, saranno più precisamente definite. Il volgare, dunque, di cui Dante tesse le lodi nel Convivio, diventa oggetto di ricerca ‘scientifica’ e sistematica nel De vulgari eloquentia, che presenta anche i caratteri di un trattato sulla storia della lingua e sulla filosofia del linguaggio.
Quaestio de aqua et terra; Egloghe, Epistole
L’assenza di ogni manoscritto dantesco implica di conseguenza la discussione sull’autenticità delle Epistole, scritte tra il 1304 ed il 1319 a vari personaggi, tra le quali emergono quella diretta a Cangrande della Scala, relativa all’argomento, alla struttura, al significato allegorico e alle finalità della Commedia, e quella all’amico fiorentino, in risposta all’invito di questi a ritornare in patria a determinate condizioni. Di contenuto vario, sono scritte in latino e lo stile è proprio quello epistolografico medievale, con un linguaggio elaborato e raffinato sorretto dall’impiego della retorica. Di carattere prevalentemente letterario-erudito sono la Questio de aqua et terra, frutto di una lezione pubblica tenuta a Verona (1320) e contenente la dimostrazione scientifica che in nessun punto del globo l’acqua è più alta della superficie delle terre emerse, e le Egloghe, due eleganti componimenti in versi di corrispondenza con il dotto grammatico bolognese Giovanni del Virgilio, a difesa del volgare.
De Monarchia
È l’opera che contiene il credo politico dantesco; fu scritta in latino per offrirla ai dotti e a quanti accompagnavano in Italia Arrigo VII, l’imperatore in cui Dante ripone le sue speranze per una rigenerazione politica e morale dell’Italia. Il pensiero del poeta è sempre legato ai due Soli, Papa ed Imperatore, ai quali era stato concesso l’obbligo di operare perché gli uomini potessero raggiungere la beatitudine terrena e quella ultratterena. Con esplicito riferimento all’autonomia della felicità terrena rispetto a quella ultraterrena, anche se la prima è condizione e fondamento di quella eterna. La Chiesa, intravedendo in questa posizione un duro colpo al proprio potere temporale, mise all’Indice l’opera sino alla fine del secolo XIX. È ovvio che Dante, visti e sentiti drammaticamente anche su di sé i gravi effetti dei contrasti politici, delle lotte tra Papa e Imperatore, desideri impostare il discorso in termini profetici, dimostrando non solo la validità ma la provvidenziale ineluttabilità del potere imperiale. Non a caso molti dei temi presenti nel trattato troveranno un puntuale riscontro nella Commedia.
La Commedia
Il titolo, Commedia, è spiegato da Dante nell’Epistola a Cangrande, secondo i dettami retorici della cultura del tempo. L’opera ha un inizio doloroso (l’Inferno) e un lieto fine (il Paradiso); lo stile è remissus et humilis non tanto per la lingua adoperata, ma per la fondazione di una nuova categoria di sublime. Questo nuovo sublime trae ispirazione dalla visione cristiana della vita, dalla compresenza nel quotidiano di realtà dimesse e realtà elevate. Alla rappresentazione della realtà in tutte le sue forme corrisponde il plurilinguismo dantesco: lingua e stile si elevano a misura che il viaggio prosegue dall’Inferno al Paradiso.
Dante-autore scrive il viaggio mistico di Dante-personaggio, investito da Dio della missione di indicare all’umanità la via della salvezza.
La Commedia rispecchia la concezione allegorica medievale: ogni scrittura annida, oltre il senso letterale, un significato di carattere morale e religioso. Dante, nel Convivio, distingue tra “allegoria dei poeti” e “allegoria dei teologi”. La prima offre un piano letterale fittizio, sotto cui si cela una verità; nella seconda il piano letterale coincide con un evento reale e storico. Secondo la concezione figurale, la storia non è una catena di eventi terreni, regolati dalla legge di causa-effetto, ma una correlazione tra piano umano e divino. La Commedia offre al lettore un esempio di allegoria dei poeti e di visione figurale.
Riepilogo
Risorse della lezione
Commento audio della slide n. 1
- Dante: dalla politica alla Commedia
- Quiz: Lezione 1
- Il prologo alla Commedia
- Quiz: Lezione 2
- L'autobiografia come purificazione
- Quiz: Lezione 3
- La simmetria come elemento ermeneutico
- Quiz: Lezione 4
- Il volo di Ulisse e di Dante
- Quiz: Lezione 5
- La misericordia di Dio ed il perdono
- Quiz: Lezione 6
- Poesia scienza e teologia
- Quiz: Lezione 7
- Ugo Capeto: il dolore e l'attesa
- Quiz: Lezione 8
- Il ritorno di Beatrice: i segni dell'antica fiamma
- Quiz: Lezione 9
- L'aspirazione alla giustizia - Pd. XVIII
- Quiz: Lezione 10
- L'opera come voce viva. Dall'antico al moderno
- Quiz: Lezione 11
- Il contrappasso dantesco
- Quiz: Lezione 12
- Dante biografo di Virgilio
- Quiz: Lezione 13
- La scienza in Dante
- Quiz: Lezione 14
- Dall'astrologia alla fisica
- Quiz: Lezione 15
- La cosmologia dantesca
- Quiz: Lezione 16
- Dante e Einstein
- Quiz: Lezione 17
- Maria e la rosa sempiterna
- Quiz: Lezione 18
Immagine slide 2
Immagine slide 4
- Slide 2: La cronologia delle principali opere
- Slide 3: La formazione
- Slide 4: L’intellettuale Dante
- Slide 5: La scuola. Lo studio. L’arte del Trivio e del Quadrivio
- Slide 6: Lo studio conclusivo: Teologia
- Slide 7: La politica ai tempi di Dante
- Slide 8: La scuola siculo-toscana
- Slide 9: Il Dolce stil novo
- Slide 12: L’esperienza poetica giovanile
- Slide 13: Le Rime
- Slide 14: La Vita nova
- Slide 15: Il Convivio
- Slide 16: De vulgari eloquentia
- Slide 17: Quaestio de aqua et terra; Egloghe, Epistole
- Slide 18: De Monarchia
- Slide 19: La Commedia
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