Architettura commerciale e moda
La nascita della dimensione urbana
La stessa invenzione della città deriva da esigenze legate al commercio. Le prime città sono infatti nate alla confluenza di preesistenti percorsi commerciali. L’Agorà, che rappresenta una delle attrezzature pubbliche più importanti delle città dell’Antica Grecia, consentiva, contemporaneamente, la partecipazione alla vita pubblica cittadina, ma era anche un luogo ove insistevano botteghe e dove quindi si svolgeva una attività di scambio commerciale. La dimensione sociale, attraverso l' integrazione dell’atto di acquisto con attività relazionali o di esplicitazione della vita pubblica, caratterizza quindi la dimensione commerciale all’interno della città, sin dalle origini.
- L'Agorà ateniese. Fonte: Wikimedia Commons
La bottega nell' antichità
Le prime botteghe nella antichità erano costituite da un unico locale con affaccio diretto sulla pubblica via. Sulla strada venivano direttamente disposte le mercanzie, collocandole su banchi in legno, oppure su gradini in pietra. La contrattazione avveniva all’esterno, sulla strada, mentre l’unico ambiente interno era adibito contemporaneamente a deposito per le merci e a laboratorio manifatturiero. L’esempio in figura 1 ci permette di segnalare una prima particolarità nell’evoluzione storica degli spazi di vendita. Nelle trasformazioni tipologiche succedutesi nel tempo, sino ai nostri giorni, abbiamo una continua stratificazione, per cui i vecchi format commerciali persistono, affiancandosi a quelli nuovi che via via vengono generati.
Il Foro Romano
Nella antica Roma, accanto alle piccole botteghe, distribuite lungo gli assi viari, esistevano della aree di concentrazione delle attività commerciali. In un primo tempo queste concentrazioni dell' attività mercantile avevano luogo all’aperto in spazi, come quelli del Foro, ove veniva organizzato il mercato cittadino, in una area in cui era concentrata la maggior parte della vita pubblica cittadina.
- Il Foro Romano
- Planimetria del Foro Romano. Fonte: Wikipedia
Le attrezzature commerciali di Roma antica
Proseguendo però nella infrastrutturazione della città romana, nei primi secoli dopo Cristo, vennero realizzate delle prime specifiche architetture commerciali di grandi dimensioni. All’inizio del II secolo dopo Cristo, l’imperatore Traiano commissionò all’architetto Apollodoro da Damasco la realizzazione di un enorme edificio con destinazione commerciale. La struttura funzionava contemporaneamente da magazzino statale di derrate alimentari e da luogo di distribuzione e vendita di queste. La costruzione presentava una parte superiore asimmetrica, ed una inferiore dotata di un ambulacro su cui si aprivano le botteghe. Tra le due parti passava una strada che partiva da Campo Marzio ed era conosciuta con il nome di Via Biberatica, nome probabilmente collegato alla presenza di botteghe dove venivano vendute bevande. Proprio la complessità dell’impianto dell’edificio porta a un confronto dei Mercati Traianei con le attuali strutture dei Centri commerciali, dei quali in qualche modo, essi rappresentano un archetipo.
Il venditore artigiano
Proviamo ora ad analizzare quale era la modalità attraverso cui avveniva l’atto di acquisto. Esso, dall’antichità e sino a tutto il medioevo, avviene basandosi su una reciproca conoscenza tra venditore ed acquirente. Il meccanismo di trasformazione delle materie prime in prodotti finiti avveniva in maniera diffusa ad opera dello stesso venditore che concentrava in sé anche la figura dell’artigiano, Non esistendo ancora una struttura centralistica come quella industriale, le attività di trasformazione avvenivano nelle piccole botteghe adibite anche alla vendita. Il venditore, essendo egli stesso produttore delle merci che vendeva, garantiva direttamente della loro qualità. L’atto di vendita si basava quindi su una reciproca conoscenza e fiducia, tra venditore ed acquirente. In questo meccanismo le merci non avevano alcuna autonomia ed erano, fondamentalmente, inseparabili dalla figura del venditore artigiano che le aveva prodotte e che, successivamente, le avrebbe direttamente vendute.
Il mercato e la dimensione urbana nel Medioevo
Durante tutto il primo Medioevo si assiste ad un forte arretramento della civiltà urbana. Le città erano vissute come pericolose e la maggior parte della popolazione si distribuì nelle campagne. Due furono le attività che, esplicitamente, continuarono a svolgersi all’interno della cinta urbana, relazionandosi strettamente tra loro: quella religiosa, attraverso le chiese, e il mercato, attraverso la piazza.
Il mercato, in un primo tempo, si svolgeva in concomitanza di festività religiose o domenicali che richiamavano la popolazione dal contado, collocandosi proprio nella piazza antistante il sagrato delle chiese. Progressivamente, nel corso del Medioevo, si ebbe un incremento demografico che richiese una dimensione del commercio che non poteva più basarsi esclusivamente sulle dimensioni ridotte delle piccole botteghe. Questo fu il principale motivo di successo del mercato. Una struttura commerciale di dimensione cospicue, in cui erano concentrate varie tipologie di mercanzie, ed in cui quindi il fenomeno del consumo poté superare la ristretta dimensione legata ai precedenti processi di autoproduzione, per giungere ad una netta distinzione tra produttori e consumatori.
- Il mercato nello spazio urbano. La piazza del Mercato a Napoli, Micco Spadaro. Fonte: Interviù
Il mercato e la dimensione urbana nel Medioevo
In epoca comunale, in molte città italiane quella che era la precedente piazza del mercato fu trasformata realizzando delle strutture architettoniche stabili. In tal modo fu migliorata la sicurezza e la agibilità a fini commerciali delle aree in cui si teneva il mercato. Esempi di questa importante trasformazione urbanistica sono presenti in molte città di impianto medievale. Nel corso di questa importante evoluzione urbanistica, i mercati iniziarono ad assumere una connotazione specifica, differenziandosi in funzione delle specializzazioni commerciali cui erano destinati. Molte sono ancora oggi le tracce di questa trasformazione nella toponomastica cittadina, come le numerose Piazze delle Erbe che ospitavano il mercato della Frutta e della Verdura, quelle delle Uova, della Legna e finanche quella dei Cocomeri.
Specializzazione commerciale e struttura urbana
Anche le botteghe subiscono in epoca basso medievale un processo di concentrazione per merceologie, in aree urbane specifiche. Spesso botteghe che vendono lo stesso tipo di merce si concentrano nella stessa strada, dando vita a delle aggregazioni di cui resta traccia nella toponomastica cittadina. Via degli Orefici a Napoli e via degli Armorari a Milano, per limitarci a due soli esempi, conservano nel nome attuale della strada traccia delle antiche attività commerciali che vi si svolgevano. In alcuni casi, come a Ponte Vecchio, la antica aggregazione commerciale persiste ancora oggi, con una presenza di botteghe orafe.
Trasformazioni della struttura della bottega
La concentrazione di molti spazi commerciali che vendevano prodotti simili, nella stessa area, comportò la necessità di sviluppare meccanismi di differenziazione basati sulla comunicazione. Molte botteghe si dotarono pertanto di insegne a bandiera, aggettanti sulla pubblica via. Questa situazione creò talvolta un tale affollamento da imporne una regolamentazione da parte delle autorità pubbliche. Anche la struttura tipologica della bottega subì una evoluzione. Per quanto gli spazi commerciali fossero ancora molto poveri e di piccole dimensione, gli spazi all’interno subirono una prima differenziazione. I banchi di esposizione delle merci furono portati all’interno per non intralciare l’agibilità della pubblica via. Conseguentemente anche le contrattazioni si spostarono nell’interno, nella parte su strada della bottega. Nelle restanti parti erano collocati, a seguire verso l’interno, il laboratorio artigianale di manifattura ed un deposito
Moda e design: un esordio scoraggiante
Volendo tratteggiare il rapporto tra design e moda attraverso gli spazi di vendita dobbiamo necessariamente prendere avvio dal controverso rapporto concettuale, ancor prima che produttivo, intercorso nel XX secolo tra architettura e moda.
Si deve riconoscere come tale rapporto, muovendo da una iniziale esplicita diffidenza, sia poi più recentemente approdato ad esiti opposti. Durante tutta la prima metà del secolo scorso, il monopolio culturale del Movimento Moderno si è manifestato attraverso l’esaltazione di un’estetica industriale ed una aperta insofferenza verso qualunque espressione di decorativismo artigianale, compreso quello che operava attraverso una ricercatezza nell’abbigliamento. La moda, del resto, era all’epoca ancora un fenomeno culturalmente e produttivamente trascurabile se confrontato con il ruolo assunto nella successiva seconda metà del secolo.
Tale atteggiamento può essere efficacemente sintetizzato attraverso alcune esplicite prese di posizione, come quella di Le Corbusier che volendo dichiarare la sua insofferenza verso qualunque approccio creativo di tipo stilistico, ne indicava un esempio proprio nelle esagerazioni dell’abbigliamento, concentrando la sua disapprovazione verso le piume che arricchivano il copricapo di una signora definendole come: “Graziose, ma non veramente importanti”.
Adolph Loos
In questo clima di palese diffidenza, nei primi decenni del secolo era comunque comparsa una voce in controtendenza. L’architetto viennese Adolf Loos, al contrario dei razionalisti, non disdegnò il tema dell’abbigliamento, sia da un punto di vista saggistico che progettuale. Egli analizzò il nascente fenomeno della moda attraverso una serie di pubblicazioni giornalistiche e saggistiche, la più importante delle quali è stata tradotta in italiano con il titolo “Parole nel vuoto”, mostrando un' affinità ed una competenza insoliti in un architetto della sua epoca. Questa sua intesa trovò un ovvio completamento nella concretizzazione progettuale. Egli infatti realizzò a Vienna, nel secondo decennio del secolo scorso , due tra i più celebrati negozi di abbigliamento: Knize, ancora oggi esistente, e Goldman & Salatsch, poi trasformato nella sede di un istituto bancario.
Il concetto di durata nella moda e nell' architettura
Al di là dell’anomalia rappresentata dalla figura di Loos, bisogna rimarcare come la diffidenza dell’architettura nei confronti della moda nasca da una profonda diversità programmatica, che si concentra intorno al concetto di durata. Sino ad un recente passato, qualunque architetto riteneva che la propria opera dovesse rappresentare valori di persistenza nel tempo, esattamente opposti a quelli temporanei, se non addirittura stagionali, che hanno contraddistinto sin dalle origini la fenomenologia della moda. Questa utopia temporale dell’architettura contrastava non solo con la moda in quanto fenomeno in sé, ma anche con la sua estensione spaziale. I luoghi di vendita dovevano necessariamente contribuire, soprattutto attraverso lo spazio della vetrina, alla costruzione di scenari destinati ad essere continuamente sostituiti inseguendo il culto della novità. Solo a partire dalla seconda metà del XX secolo, con il superamento dei modelli interpretativi totalizzanti, si apre la strada ad interpretazioni culturali che, al pari di altri “pensieri deboli”, accettano l’idea della transitorietà anche nell’architettura.
Il concetto di durata nella moda e nell' architettura/2
Per questa strada l’effimero diventa una componente riconosciuta del nostro tempo che trova una tra le più efficaci rappresentazioni simboliche nella programmata transitorietà di molte architetture pubbliche, tra le quali evidentemente gli spazi commerciali.
Paradossalmente, è proprio intorno al concetto di durata, che più di ogni altro aveva marcato la differenza costitutiva tra la “futilità” del fenomeno moda e la “utilità sociale” dell’architettura, che si ritrova un atteggiamento comune. Alla fine di questo percorso ogni avversione tra moda e architettura appare superata.
Essa, ancora prima di qualunque processo di reciproca revisione teorica, è sconfitta dalla constatazione che il meglio dell’architettura e del design contemporaneo trovano nella progettazione commerciale un mezzo che ne favorisce la diffusione e che permette la sperimentazione di nuovi modelli progettuali e attestazioni concettuali.
L’abito come modello per l’architettura
Del resto, se da una lato l’architettura, nella constatazione della rapidità delle trasformazioni urbane, ha trovato un evidente limite a qualunque anacronistica aspirazione all’immortalità, la moda ha cessato di apparire un fenomeno di superficiale estetizzazione. Da attività artigianale ed individuale essa è divenuta un sistema industriale capace di produrre una quota consistente del reddito nazionale oltre a rappresentare, nella capacità di una produzione che esprime la realtà fisica del manufatto all’interno di un sofisticato contesto simbolico ed immaginario, uno delle più dinamiche manifestazioni della espressività contemporanea. Questa nuova integrazione tra i due sistemi espressivi si ritrova metaforicamente compiuta in alcune architetture, come i Grandi Magazzini Selfridges di Birmingham progettati dal gruppo di architetti inglese Future System la cui facciata, caratterizzata dall’uso di dischi metallici cromati, è una esplicita citazione delle tessiture metalliche di alcune creazioni di Paco Rabanne.
Il negozio della prima modernità
Nel tempo, il rapporto tra moda e luoghi di vendita si è espresso attraverso l’evoluzione della pratica progettuale. Inizialmente, nei primi anni del XX secolo, il modello prevalente è quello di un ambiente lussuoso, tipico delle sale di rappresentanza delle abitazioni dell’alta borghesia. Gli interni sono prevalentemente rivestiti in legno e tendono a trasmettere intimità ed eleganza, proponendo l’idea di un ambiente appartato e selettivo rispetto alla chiassosa promiscuità dell’esterno stradale. Modelli esemplari di questi nuovi formati commerciali sono le già richiamate opere di Adolf Loos. La camiceria Knize (Vienna 1910-1913) ed il magazzino Goldman Salatsch (Vienna 1910), situato in Micahelerplatz, di cui si conservano ancora, pur nel cambio di destinazione d’uso dell’immobile, gli arredi originari. In questa tipologia di negozi caratteristici delle grandi città europee della prima modernità, una particolare importanza era assegnata alla vetrina. Essa era lo spazio che doveva servire ad attrarre il passante, attraverso una esaltazione spettacolare delle merci esposte. Tale risultato è ottenuto in primo luogo mettendo al centro della struttura scenografica della vetrina i prodotti.
La cultura progettuale e l'abbigliamento
Segnali di una maggiore attenzione verso il tema dell’abbigliamento e della moda da parte della cultura progettuale, si ritrovano nella prima metà del Novecento in una serie di significativi episodi. Una prima forte attrazione verso le potenzialità espressive dell’abbigliamento e della moda si possono riscontrare, agli esordi del Novecento, dal movimento futurista italiano. La progettazione e ricerca di un abbigliamento “antiborghese” come espressione artistica accessibile alla massa è stato il primo passo verso la democratizzazione della moda e quindi verso l’avvento del moderno prêt-à-porter. Uno delle più emblematiche aperture è fornita dal Bauhaus che inserisce nella sua struttura di laboratori didattici, accanto alle officine del mobile, della stampa, dei metalli, e dela ceramica, un' officina della tessitura, riconoscendo così al tema della progettazione dei tessuti e dell’abito una dignità analoga a qualunque altra attività progettuale.
Architetti e negozi nella prima metà del Novecento
La prima metà del Novecento è il periodo che vede la comparsa dell’architetto come progettista del luogo di vendita e la diffusione di una serie di innovazioni tecnologiche condizionanti, quali l’illuminazione elettrica, l’aria condizionata e la disponibilità di lastre di vetro sempre più resistenti e di maggiori dimensioni, con cui realizzare vetrine di sempre maggiori dimensioni e trasparenza.
Molti furono gli episodi che videro impegnati i maggiori architetti dell’epoca nella progettazione di spazi commerciali. Tra le tante possiamo ricordare esperienze come il Morris Gift Shop di Frank Lloyd Wright (San Francisco 1948-1949, tuttora aperto), o ancora prima il negozio per scarpe Bally di Rob Mallet Stevens (Parigi 1928, chiuso nel 1955), il progetto per Bata di Le Corbusier o i negozi di Pierre Charreau.
Architetti e negozi nella prima metà del Novecento/2
Gli episodi precedenti sviluppano la qualità architettonica del progetto come espressione di un' autonoma capacità individuale del progettista.
Ciò che accomuna questi esempi è proprio la condivisione di una logica di relazione tra committenza e architetto, in cui queste due entità restano autonome l’una dall’altra. Il committente, sia esso un privato o un’azienda, detta le necessità del progetto ed il progettista, avendo come unico riferimento espressivo la propria poetica, indica le soluzioni.
Possiamo sintetizzare questa condizione con l’affermazione per cui ogni punto vendita possiede una propria identità, ma non si inserisce in una strutturata strategia aziendale.
Risorse della lezione
- Gli spazi di vendita della moda e il design
- Quiz: Quiz Lezione 1 - Gli spazi di vendita della moda e il design
- Riconoscibilità della marca e spazi di vendita: le origini
- Quiz: Quiz Lezione 2 - Riconoscibilità della marca e spazi di vendita: le origini
- Gli anni Sessanta: Biba, Mary Quant e la Swinging London
- Quiz: Quiz Lezione 3 - Gli anni Sessanta: Biba, Mary Quant e la Swinging London
- Gli anni Settanta e Ottanta: verso un nuovo atteggiamento progettuale
- Quiz: Quiz Lezione 4 - Gli anni Settanta e Ottanta: verso un nuovo atteggiamento progettuale
- Il punto vendita come esperienza della marca
- Quiz: Quiz Lezione 5 - Il punto vendita come esperienza della marca
- I flaghship stores
- Quiz: Quiz Lezione 6 - I flaghship stores
- Gli epicentri Prada
- Quiz: Quiz Lezione 7 - Gli epicentri Prada
- Espressività della marca e diversificazioni commerciali: i multibrand
- Quiz: Quiz Lezione 8 - Espressività della marca e diversificazioni commerciali: i multibrand
- Gli spazi commerciali temporanei
- Quiz: Quiz Lezione 9 - Gli spazi commerciali temporanei
- I Guerrilla Store
- Quiz: Quiz Lezione 10 - I Guerrila Store
- Arte e consumo negli spazi di vendita
- Quiz: Quiz Lezione 11 - Arte e consumo negli spazi di vendita
- Una nuova modalità di rappresentazione dell'identità commerciale della marca: i concept book
- Quiz: Quiz Lezione 12 - Una nuova modalità di rappresentazione dell'identità commerciale della marca: i concept book
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Fig. 2 Immagini di un negozio che continua ad utilizzare lo schema tipologico delle prime botteghe
Fig.1 Schema planimetrico delle prime botteghe dell'antichità
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Nella città medievale, in corrispondenza di molte botteghe venivano utilizzate insegne a bandiera
Trasformazioni subite dalla struttura della bottega in epoca medievale
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Vienna, Magazino Knize, 1913, Arch. Adolph Loss
Vienna, Magazzino Goldman & Salatsch, 1910, Arch. Adolph Loos
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Confronto tra la facciata dei Grandi Magazzini Selfridges (2004) ed un abito in maglia metallica dello stilista Paco Rabanne
La facciata dei Grandi Magazzini Selfridges (2004) nel contesto urbano di Birmingham
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Interni del negozio Knize,1913, architetto Adolph Loos
Vetrina del magazzino Knize, 1913, architetto Adolph Loos
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A sinistra: Bauhaus 1919-1933, costumi teatrali. A destra: Struttura didattica del Bauhaus
Fortunato Depero, abiti maschili
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