Il cibo come Cultura e la Cultura del cibo
In Italia l'enogastronomia è un patrimonio importante: diffuso, radicato, eterogeneo regione per regione anche se alcuni ingredienti come la pasta, la pizza, la mozzarella, il caffè, contribuiscono a identificarla in tutto il Mondo. Nel paese in cui Ancel Keys e sua moglie Margaret, durante il loro pluridecennale soggiorno a Pioppi nel Cilento, teorizzarono la "Dieta Mediterranea" dimostrandone i benefici effetti, non si può che affermare che il buon cibo è cultura. Uno stile di vita in cui ogni italiano di riconosce.
La Dieta Mediterranea, come riportato in "How to eat well and stay well- the Mediterranean way", non è solo uno schema nutrizionale ma, appunto, uno stile di vita specifico, a contatto con la natura, che vede il cibo come valore fondante della condivisione quotidiana tra le persone.
Questo modello di vita - e non la sola piramide alimentare - sono stati riconosciuti nel 2010 patrimonio culturale immateriale dell’umanità dall’Unesco.
Tre rivoluzioni gastronomiche
Nell'ultimo quarto di secolo ci sono state almeno tre grandi rivoluzioni nel mondo del cibo campano e italiano.
La prima è stata quella dell'alta ristorazione che ha avuto come iniziatore al Sud il ristorante Don Alfonso, che ha rinverdito la tradizione gastronomica mediterranea creando uno stile capace di esssere leggibile anche fuori dal territorio, competitivo per gusto e per salute con qualsiasi altro stile alimentare mondiale, quello dell'orto-mare.
La seconda è stata quella del vino che, a partire dall’inizio degli anni Novanta, ha ripulito i vini dai difetti imponendo anche in questo caso uno stile tipicamente regionale che coniuga vitigni autoctoni alle condizioni pedoclimatiche decisamente favorevoli.
La terza è stata quella della pizza, di cui ho approfondito i temi nel saggio "La pizza- una storia contemporanea" edita da Hoepli, che è intervenuta sostanzialmente nel miglioramento delle lievitazioni e della qualità degli ingredienti. Cioè nella digeribilità e nel gusto.
La terza rivoluzione: la pizza
Nel 2017 si aggiunge alla Dieta Mediterranea un altro patrimonio immateriale a tema enogastronomico: l'arte del pizzaiolo napoletano.
La pizza diventa così espressione di una tradizione che diventa innovazione attraverso il costante miglioramento di ingredienti e lavorazione e che riconosce alla pizza la sua identità napoletana e quindi italiana.
E' il culmine della terza rivoluzione, culturale prima che gastronomica, in Campania e in Italia: farina, olio d'oliva, pomodoro sono infatti le basi della Dieta Mediterranea e il disco magico che esce dai forni ne è in qualche modo il simbolo. Non il solo, ovviamente, ma il più conosciuto.
Da prodotto di scarsa qualità a eccellenza assoluta. Ecco quello che è successo con la pizza.
È di questa ultima rivoluzione che tratteremo in questo corso: la pizza come simbolo di cultura italiana, analizzata in maniera interdisciplinare come mai è stato fatto prima in sede accademica.
Non imparerete come si fa, ma che cosa è la pizza e cosa significa per Napoli e per l'Italia questo fantastico cibo.
Unit 1- La pizza che non suona il mandolino
La pizza come fenomeno nazionale
Il fenomeno della pizza non riguarda solo Napoli, ma tutta l'Italia: il nuovo millennio segna una svolta per questo cibo. Il cambio di passo diffuso che abbraccia vari ambiti, sia territoriali che culturali, ed è per questo che riesce a determinare quella che noi chiamiamo Rivoluzione, dovuta alla spinta e alla carica di alcuni grandi innovatori: Enzo Coccia, a Napoli, Simone Padoan, a Verona, e Gabriele Bonci, a Roma.
Questa combinazione non concordata tra Sud, Centro e Nord accende la miccia di una rivoluzione che ha stili molto diversi tra loro, ma che hanno in comune l'impasto e la lievitazione.
Possiamo sicuramente parlare di pizza napoletana e di pizza romana. Ad esse si è affiancata una scuola veneta perché alcuni pizzaioli di questa regione hanno impresso una straordinaria spinta verso la qualità e il cambiamento della percezione e delle modalità di consumo di questo cibo.
Coccia re-inventa il modello napoletano, che è attualmente alla massima espansione, tanto che, come vedremo alla fine del corso, si tenta di replicare il modello di pizza napoletana nel mondo in vari modi perchè quella napoletana, unica e tipica, è espressione di un preciso territorio e della sua storia, è identitaria per l'intera comunità e sta conoscendo un successo globale che da prodotto tradizionale la porta direttamente nel futuro.
La pizza come fenomeno nazionale
Dopo di lui Gino Sorbillo, i fratelli Salvo e tanti altri protagonisti si sono affacciati sulla scena napoletana. Gabriele Bonci è l'indiscusso protagonista, anche se non il primo, del rinnovamento della pizza romana che porta anche i nomi di Giancarlo Casa e Angelo Iezzi.
Padoan è stato un grande innovatore, sta alla pizza italiana come Marchesi alla cucina, ossia non è erede di una tradizione ma è il primo capace di renderla veramente moderna.
La pizza, quindi, non suona solo il mandolino: in questa lezione approfondiremo la scuola veneta e quella romana attraverso alcuni professionisti che ne sono stati espressione diretta.
La pizza da Nord a Sud: gli innovatori
Enzo Coccia re-inventa il modello napoletano, che è alla massima espansione, tanto che, come vedremo alla fine del corso, si tenta di replicare il modello di pizza napoletana nel mondo in vari modi perchè quella napoletana, unica e tipica, è espressione di un preciso territorio e della sua storia, è identitaria per l'intera comunità e sta conoscendo un successo globale che da prodotto tradizionale la porta direttamente nel futuro.
Dopo di lui Gino Sorbillo, i fratelli Salvo e tanti altri protagonisti si sono affacciati sulla scena napoletana. Gabriele Bonci è l'indiscusso protagonista, anche se non il primo, del rinnovamento della pizza romana che porta anche i nomi di Giancarlo Casa e Angelo Iezzi.
Simone Padoan è stato un grande innovatore, sta alla pizza italiana come Gualtiero Marchesi alla cucina, ossia non è erede di una tradizione ma è il primo capace di renderla veramente moderna.
La pizza, quindi, non suona solo il mandolino: In questa lezione approfondiremo la scuola veneta e quella romana attraverso alcuni professionisti che ne sono stati espressione diretta.
Nella prossima, inizieremo a concentrarci pià approfonditamente sulle diverse tipologie.
La pizza per gli italiani
"Pizza" è sicuramente la parola e il concetto che il mondo più associa all'Italia.
Anche se non dobbiamo darlo per scontato, come vedremo. Sia per la presenza di multinazionali del settore, sia per la passione che altri popoli, quello brasiliano, hanno per questo cibo.
In ogni caso è una delle abitudini alimentari e sociali più comuni nel nostro Paese.
Un sondaggio commissionato dall’Osservatorio Buitoni Culinary Lab ed effettuato su un campione di circa 2500 italiani di età compresa tra i 20 e i 55 anni mostra come la pizza sia un'abitudine radicata: il 52% dichiara di mangiarla almeno una volta alla settimana mentre il 34% afferma di mangiarla ogni volta che ha voglia; il 4% degli intervistati vorrebbe mangiarla ogni giorno perché contribuisce a dare una certa soddisfazione a livello emotivo (39%) e perché, essendo un cibo versatile, può essere mangiata ovunque (13%).
Allo stesso tempo il 14% del campione interpellato sostiene che favorisce la condivisione: abitudine effettuata con gli amici (29%) o con il proprio partner (18%) ma anche che la rende adatta alla pausa pranzo: 1 italiano su 2 (il 52%, se vogliamo essere precisi) che la preferisce alla pasta (43%) durante la pausa pranzo, all’insalata (13%), ai panini (39%) e alla piadina (29%).
Pizza in teglia romana: un vero e proprio stile
La pizza in teglia romana è oggi un vero e proprio stile e non solo una produzione cittadina del "pizzettaro": esistono locali fuori Roma, anche di pizzaioli non romani, che producono la pizza in teglia alla romana, come ha dimostrato recentemente anche il viaggio di Gabriele Bonci tra i panifici italiani in una trasmissione tv di successo.
Ma l’inventore della pizza in teglia alla romana come la conosciamo oggi è stato probabilmente Angelo Iezzi che, partendo da un’idea e da un’esigenza lavorativa, ha rivoluzionato il mondo della pizza. Lo hanno definito “l’uomo delle bolle”, perché, prima di lui, gli impasti erano tutti uguali: molto calorici e poco digeribili. Pizzaiolo, ristoratore, imprenditore, consulente alimentare, tecnico, presidente e fondatore della Scuola Nazionale di Pizza e soprattutto presidente dell’Api (Associazione Pizzerie Italiane): Angelo Iezzi è un’istituzione nell’universo della pizza perchè ha compreso la possibilità di rendere uno street food locale un cibo dal gusto universale.
Unit 2 - La scuola romana: intervista ad Angelo Iezzi
La pizza romana: una lunga storia
La storia della pizza romana è sicuramente meno antica di quella napoletana, ma inizia a contare i decenni.
A differenza di quella partenopea che è unica, la romana ha ben tre tipologie:
- pizza del fornaio (cotta dal fornaio nel forno del pane)
- pizza in teglia (tipica delle rosticcerie)
- pizza tonda (mangiata al piatto nelle pizzerie).
La pizza della prima tipologia segna la nascita della pizza a Roma: nei forni familiari e di quartiere c'è solitamente una parte di produzione dedicata solo alla pizza, bianca e rossa.
Anche questa tipologia ha avuto una forte evoluzione negli ultimi vent'anni: attraverso Roscioli e Palermo ci si è specializzati sulle farine e sugli impasti a lunga lievitazione.
La pizza del fornaio è profondamente diversa da quella napoletana per un fattore importante come la temperatura di cottura: mentre in quella napoletana il forno a legna raggiunge i 480 gradi, il forno per panificazione raggiunge i 360 gradi e dunque il panetto ha bisogno di più tempo per cuocere e per questo perde umidità fino a diventare croccante.
La diffusione delle pizze da fornaio nel centro Italia spiega la difficile comprensione del gusto della pizza napoletana fuori Napoli perchè a volte viene ritenuta troppo morbida e poco cotta.
La pizza in teglia romana
La rosticceria nasce a Roma e in Italia nella metà degli anni Sessanta, un segnale del benessere economico, uno street food ben diverso da quello napoletano e palermitano, figlio invece della povertà e che vanta una tradizione che risale almeno al 1600.
Prima c'erano state le "mescite con cucina", le "cantine" e poco altro per la ristorazione d'asporto non costosa.
Poi, nei primi anni Sessanta, nascono le rosticcerie: posti dove si vende e si consuma un cibo da asporto sempre economico e popolare, ma spesso ricco di grassi, all'epoca non nel mirino dei nutrizionisti.
In questo senso, la frittura e l'utilizzo dell'olio di semi, portato in Italia dai militari americani, si moltiplicano: nascono le friggitorie che si differenziano nei prodotti offerti da posto a posto. A Roma, si specializzano nei supplì, nei fiori di zucca e nei filetti di baccalà.
In queste rosticcerie si diffonde negli anni Ottanta anche la pizza in teglia, venduta a peso, inizialmente solo "bianca e rossa" e successivamente con varie farciture.
La diffusione diventa capillare: ogni quartiere di Roma ha la sua pizzeria di riferimento e il suo gusto preferito ma, fino a pochi anni fa, questo tipo di pizza -seguendo la scia dei fritti e degli altri prodotti- ha molti grassi e poca lievitazione, diventando quindi grasso e poco digeribile.
La pizza in teglia romana oggi
La pizza in teglia alla romana diventa insomma lo street food della capitale a partire dagli anni Sessanta restando un prodotto molto popolare dalle materie prime piuttosto economiche.
Nonostante ciò è stato per anni anche uno dei cibi da asporto forse con il peggiore rapporto qualità/prezzo possibile: costa molto e ha scarsa qualità.
La svolta popolare avviene con Gabriele Bonci, panificatore e pizzaiolo, che rivoluziona sia gli impasti che i condimenti creando la "nuova pizza in teglia romana" che acquisisce rapidamente notorietà e seguito tra gli appassionati.
La pizza di Bonci affina l'arte dell'impasto e la ricerca in materie prime di qualità, variando molto le farciture e sdoganando tanti abbinamenti.
Il successo della pizza di Bonci è stato rapido e travolgente tanto che oggi lui è riconosciuto padre di questa "new wave" della pizza romana.
La pizza tonda romana: testimonianze letterarie
La pizza tonda arriva da Napoli a Roma nella seconda metà dell'800, ma non ha fortuna, come testimonia un passo del libro di Matilde Serao "Il Ventre di Napoli" (1884):
"La pizza, tolta al suo ambiente napoletano, pareva una stonatura e rappresentava una indigestione; il suo astro impallidìe tramontò in Roma; pianta esotica, morì in questa solennità romana".
È solo negli anni Cinquanta del 1900 che la pizza si diffonde, tanto che Pier Paolo Pasolini dice di frequentare le pizzerie, solitamente collocate in periferia o nei quartieri popolari:
"Spesse volte, se pedinato, sarei colto in qualche pizzeria di Torpignattara, della Borgata Alessandrina, di Torre Maura o di Pietralata, mentre su un foglio di carta annotato modi idiomatici, punte espressive e vivaci, lessici gergali presi di prima mano dalle bocche dei "parlanti fatti parlare apposta".
Pizza tonda romana
La tradizione della pizza in teglia porta i romani a non apprezzare un impasto elastico e soffice e così la pizza tonda tende ad essere compatta, bassa e croccante. Ma c'è un altro elemento fondante a cui abbiamo già accennato: la pizza tonda viene cotta in forni da pane, non a bocca di luna come quella napoletana, ragion per cui la differenza della temperatura di cottura è grande.
La pizza napoletana è l'unica ad avere un forno specializzato e non da pane, e proprio questo distingue il pizzaiolo dal panettiere.
Nell'ultimo ventennio, però, la pizza romana al piatto subisce una trasformazione radicale: l'affinamento nella scelta delle farine, l'attenzione rivolta ai metodi di lavorazione e più in generale alle materie prime hanno aperto anche nella Capitale un nuovo capitolo nella storia della tonda, che resta però la meno praticata.
Si impone invece una via di mezzo.
La differenza tra la pizza "bassa romana" e la "alta napoletana" va via via affievolendosi proporzionalmente all'incremento della qualità dei prodotti e all'attenzione degli impasti. Non è lo spessore della pizza a caratterizzare due tipologie di pizza differenti, ma la varietà dei condimenti, l'attenzione alla maturazione dell'impasto e agli abbinamenti.
Negli anni Novanta questo concetto viene compreso da Giancarlo Casa, patron de "La Gatta Mangiona" che riesce a cambiare tutti gli schemi delle pizzerie a Roma. Seguiranno poi altri, tra cui Stefano Callegari, ma Casa, insieme a Vespa, è stato il primo a battere la strada dell'implementazione qualitativa del modello "tonda romana".
Unit 3 - La tonda romana: intervista a Casa
La scuola veneta
Più che la pizza veneta, in questo millennio è nata una scuola veneta, che ha completamente ripensato il modo di produrre e di vivere questo cibo e ha in Simone Padoan il principale protagonista.
Con lui, Renato Bosco e Lello Ravagnan sono stati esponenti della prima ora, anche se si affaccia una nuova generazione rappresentata da Denis Lovatel.
La diffusione della pizza in Veneto è all'origine della pizza gourmet o pizza all'italiana che dir si voglia, che nasce come reazione alla pessima qualità degli ingredienti delle pizze e delle pizzette cotte nei forni elettrici e proposte in tutta Italia, in una qualità sempre più scadente.
Nel 2000 l'Italia non aveva attenzione per la pizza e quella napoletana sembrava solo una specialità etnica, da assaggiare solo a Napoli o in pizzerie di pizzaioli emigranti. Padoan apre una pizzeria ripensando totalmente alla pizza, servendolo in spicchi al centro del tavolo e non ingredienti di primissima scelta.
In questo senso decide di invertire la rotta tradizionale e pensare il prodotto finale partendo non dall'impasto ma dalla farcia, ossia abbinando le farine giuste su quello che si intendeva proporre di cucinato.
Pizza veneta come innovazione
La volta veneta nel mondo della pizza è stata una rivoluzione epocale dalla quale non si torna indietro perchè ha promosso la qualità anche nei luoghi di consumo di massa: al di là degli ingredienti oggi i clienti pretendono una pizza ben lievitata e digeribile e questo elemento ha cambiato la percezione dei consumatori, disposti anche a pagare qualcosa in più, migliorando la qualità dell'offerta.
Oltre a Padoan, Renato Bosco ha sdognato più stili di pizza serviti: nelle sue pizzerie di propongono cinque tipi di pizza (la tonda, quella in pala, la Crunch, al trancio e all'Aria di pane).
Terzo protagonista di questa silenziosa rivoluzione è stato Lello Ravagnan, che ha iniziato a gestire una sala dai moltissimi coperti senza rinunciare in qualità e sperimentazione, migliorando l'organizzazione.
Questo cambio di passo ha reso la pizza un lusso accessibile a tutti invertendo la corsa al ribasso dei costi e inaugurando l'esempio virtuoso della qualità che i consumatori hanno dimostrato di saper apprezzare, pagando qualcosa in più in cambio della tracciabilità dei prodotti e della qualità del risultato.
La rivoluzione partita dal Veneto
La rivoluzione della pizza che parte dalla qualità degli ingredienti, anche costosi, ha origine quindi proprio in Veneto, partendo da una scuola che ha come protagonisti una generazione che in questa regione ha creato un circolo virtuoso di scambio di informazioni e di opinioni crescendo insieme.
In fondo, la differenza che possiamo rilevare rispetto allo stile romano e a quello partenopeo è che in questo caso sono i protagonisti a collocare geograficamente la pizza mentre nell'altro è la pizza a far definire pizzaioli napoletani anche coloro che non sono nati in Campania.
Queste due rivoluzioni incidono sulla terza scuola, la più antica e preesistente, ovvero quella napoletana, come vedremo in seguito.
Unit 4- La scuola veneta per Lello Ravagnan
Pizze e focacce d'italia
La pizza è riuscita a conquistare il mondo, nelle sue varie declinazioni e anche nelle diverse scuole: veneta, romana e naturalmente napoletana che, ribadiamo, è sicuramente la più antica e nota.
Ma la pizza napoletana non è l'unica pizza in Italia: ogni territorio e ogni regione ha la sua tipologia, sia per forno che per dimensioni, sia per condimento che per le lievitazioni.
Alla pala, a metro, tonda, quadrata, in teglia, la pizza è sempre un cibo povero che può fungere sia da snack, ovvero da spuntino lontano dai pasti, sia da pasto vero e proprio conservando le caratteristiche proprie dell'alimento: avere costi contenuti e poter essere (anche) consumata in piedi.
Queste caratteristiche hanno accompagnato la crescita di (quasi) ogni italiano: il nostro Paese è ricco di pizze e focacce regionali. Tra queste, oltre alla pizza napoletana, si sono distinte la scuola veneta e quella romana per ragioni particolari: la prima perchè ha sdoganato il "topping" e la seconda perchè ha insistito sugli impasti.
Quale allora la differenza? Questa: la pizza napoletana ha origini in un tessuto urbano e separa la propria storia dalla panificazione sin dalla metà del '700, tutte le altre sono figlie dirette e recenti della panificazione, si tratta per lo più di lievitati che hanno origini rurali, o prove da forno o resti della pasta riutilizzati.
Il forno simboleggia questa differenza: quello napoletano è a bocca di luna, pensato per la pizza che deve essere cotta almeno a 450 gradi per poco più di un minuto.
Ripercorriamo rapidamente la storia delle focacce più diffuse in Italia.
Focacce da Nord a Sud
Premettendo che, appunto, ogni regione ha le sue tipologie di focaccia, tre sono particolarmente note:
- la focaccia ligure
- la pizza barese e le focacce pugliesi
- lo sfincione di Palermo e la schiacciata di Catania.
Queste tre focacce sono note anche fuori dai territori di appartenenza, ma non hanno raggiunto sinora la notorietà e la diffusione della pizza napoletana.
Le focacce in Liguria
Anche Genova, città portuale, aveva grandi commerci proprio di grano, oltre che di olio, tipica produzione territoriale.
Per questo, già nel 1500, il consumo della semplice focaccia all'olio era familiare e diffuso talmente tanto che un vescovo ne proibì l'uso durante le funzioni funebri.
La focaccia era il cibo tipico degli scaricatori di porto (i camalli) che erano soliti mangiarla a metà mattina, intingendola in un bicchiere di vino bianco.
La particolarità delle focacce liguri, quella classica genovese, quella di Recco - le cui origini si perdono nelle Crociate - e quella di Voltri, sta nella lunga lievitazione (circa venti ore) e nella cottura nel forno a legna.
La pizza barese e le focacce pugliesi
La pizza nasce dalla tradizione dell'arte bianca: era probabilmente una "prova da forno" del lievitato schiacciato cotto prima del pane e poi lievemente condito.
L'abilità dei panificatori pugliesi è nota e facilmente spiegabile: il Tavoliere delle Puglie è ricco di grano e il pane pugliese ne beneficia, da quello di Altamura alle pecce salentine.
Nel barese una pizza schiacciata condita con pomodoro è stata riconosciuta e standardizzata attraverso un disciplinare che la identifica come "Autentica Pizza Barese", che deve essere croccante, facilmente piegabile, digeribile, e dal basso carico glicemico.
La focaccia barese è diventata nota anche per ragioni mediatiche: nel 2009 fu protagonista di un film "Focaccia Blues" in cui si racconta la storia vera del panificatore di Altamura che, a colpi di focaccia, fece chiudere il vicino McDonald's.
Lo sfincione di Palermo e la schiacciata di Catania
In Sicilia le focacce sono talmente tante che è difficile mapparle tutte.
Tra le più note, anche fuori regione, c'è lo sfincione (spinciuni) una focaccia alta e morbida, arricchita in superficie con una salsa a base di pomodoro, cipolla bollita, acciughe, origano e caciocavallo. In cima, inoltre, spesso si trova anche del pangrattato precedentemente insaporito con olio extravergine d'oliva e salsa di pomodoro.
Lo sfincione tradizionale si mangia tagliato a quadretti o rettangoli ma non è raro trovarlo anche in pezzi singoli anche tondi.
Più simile alla "pizza" per dimensione, lievitazione e risultato finale è la "rianata" (focaccia realizzata con grano duro, acqua, lievito, sala e zucchero) che è propria di Trapani e comune al resto del Meridione, somigliando molto alla pizza napoletana dal gusto "marinara".
Il termine viene probabilmente da origanata e la troviamo anche nel Cilento.
Piadina romagnola
L'unica focaccia conosciuta in tutto il mondo e che quindi ha seguito parzialmente una strada di diffusione simile a quella della pizza napoletana, è la piadina romagnola.
La piadina romagnola iniziò a conquistare i turisti negli anni Quaranta e Cinquanta, quando cominciarono ad apparire lungo le strade statali che portavano al mare i primi chioschi che vendevano le piadine preparate al momento, tradizione che si è mantenuta tuttora.
La piadina ha orgini antiche, attestate intorno al 1300, ma fu Giovanni Pascoli a dare dignità culturale alla "piada", un cibo povero diffuso tra i ceti meno abbienti.
Pizza e le sue tipologie in Italia: il modello italiano di Berberé
Un altro modello che parte come pizza popolare tradizionale è quello che Matteo Aloe ha realizzato: la sua pizza ha poco o nulla del disco di pasta al quale eravamo abituati prima della cosiddetta rivoluzione della pizza iniziata ormai quasi venti anni fa e consolidatasi negli anni Duemila.
A partire dalle farine e dagli impasti, per continuare con il processo di maturazione, fino alla stessa concezione del locale e del servizio, siamo infatti di fronte ad una pizza «nuova» e ad una pizzeria innovativa. Berberè è una piccola catena e anche la tipologia di espansione dei locali ha le sue peculiarità.
Nasce nel 2010 a Castel Maggiore in provincia di Bologna da un’idea di due fratelli calabresi, Matteo e Salvatore Aloe con la volontà di ribaltare l’equazione cibo povero = bassa qualità.
Il menu, ad esempio, è pensato e coordinato da uno chef con esperienza internazionale. La pizza ha una base non molto sottile, quasi biscottata sotto, più morbida in superficie; un cornicione ben cotto, ruvido e croccante, soprattutto leggerissimo. Pasta madre, ottima idratazione, lunga maturazione e farine diverse e diversamente combinate a seconda delle tipologie di pizza, dal tipo 1 all’enkir, dal farro al semi-integrale. Un lavoro di ricerca e sperimentazione che non si ferma alle farine ma continua con i prodotti selezionati tra i presidi Slow Food e le specialità regionali che ha portato ad una pizza di qualità, che non imita altre tipologie, anche nel centro Nord.
Unit 5- Intervista a Matteo Aloe per il modello italiano
Pizza napoletana: storia, tradizione, innovazione
La pizza italiana probabilmente più conosciuta al mondo è quella napoletana.
Ha radici antiche, uno stile preciso ed è protagonista oggi di una delle più grandi innovazioni enogastronomiche del secolo.
Della sua lunga e articolata storia parleremo nella terza lezione, ma in ogni caso è da sottolineare che nasce alla fine del 1700 e dapprima è prodotta solo dentro la città di Napoli. Successivamente conquista il mondo, sia attraverso il fenomeno dell'emigrazione meridionale sia grazie alle sue caratteristiche, anche nutrizionali oltre che gustative.
La pizza napoletana infatti è un pasto completo (600-800 k) nato per sfamare il popolo e non entra mai ufficialmente nelle mense dei ricchi anche se Ferdinando II ne era ghiotto. Semplicemente non era considerato un piatto degno di menzione. Per questo viene dapprima ignorata dai ricettari del Corrado, del Cavalcanti e persino della Francesconi. Nel secondo Dopoguerra si diffonde rapidamente dapprima in Italia e poi all'estero.
La diffusione iniziale di pizzaioli improvvisati in giro per l'Italia snatura alcune delle caratteristiche originarie della pizza e minaccia la ricetta e il processo tradizionale. Per salvaguardarli negli anni '80 nasce l'Associazione Verace Pizza Napoletana che scriverà anche un disciplinare sulla vera pizza napoletana, rinnovato nel luglio 2019, dopo 25 anni.
Verace pizza napoletana: caratteristiche
La pizza napoletana è sicuramente la più antica e conosciuta tipologia di pizza al mondo.
Come si prepara una Vera Pizza Napoletana? (dal sito ufficiale AVPN)
Ecco finalmente la ricetta originale così come tramandata da generazioni di pizzaioli.
Analizziamo subito l'aspetto finale della vera pizza napoletana in seguito alla cottura nel forno a legna:
1. la pizza napoletana è tondeggiante, con un diametro di circa 30-35cm;
2. la pizza napoletana presenta il bordo rialzato (il famoso cornicione), gonfio e privo di bruciature;
3. la pizza napoletana deve essere morbida ed elastica.
La pizza napoletana e il disciplinare
Nel 1984 l'Associazione Verace Pizza Napoletana ha stabilito un disciplinare per stabilire le caratteristiche del prodotto tipico "verace pizza napoletana" (o vera pizza napoletana).
Ogni operatore in qualsiasi paese del mondo che sia in grado di offrire un prodotto con tutte le caratteristiche richieste dal disciplinare può presentare domanda all’Associazione Verace Pizza Napoletana per l’assegnazione e l’utilizzo del marchio collettivo “Verace Pizza Napoletana” (Vera Pizza Napoletana) L’Associazione controllerà periodicamente e a campione che gli operatori iscritti nell' albo degli utenti del marchio seguano il disciplinare per l’elaborazione di questo “piatto tipico”.
Per quanto riguarda i condimenti e i prodotti, si stabilisce che devono essere utilizzati preferibilmente prodotti certificati di origine campana.
Due le novità rispetto al passato: l'uso esclusivo dell'olio d'oliva al posto di quello di semi diffuso nel Dopoguerra e l'inserimento della mozzarella di bufala affianco al fior di latte.
Il disciplinare AVPN
Il disciplinare AVPN stabilisce tempi e modi di preparazione, quantità e tipologia di ingredienti, disciplinando che sono solo 2 le pizze che possono fregiarsi di "verace pizza", ovvero la Margherita e la Marinara.
Nel luglio 2019, dopo 25 anni, il disciplinare Avpn si è aggiornato e ha modificato alcune delle sue caratteristiche, apportando cambiamenti rispetto ad alcuni punti/ingredienti:
- farine (attraverso l’inclusione del tipo 0 e in percentuale del tipo 1)
- lievito (dalle maggiori indicazioni sulla quantità di lievito di birra fresco da utilizzare all’introduzione di precise informazioni per quanto riguarda quelle del lievito madre naturale, fino all’ammissione del lievito di birra secco, purché senza additivi, zuccheri o miglioratori alimentari aggiunte).
- processi di lievitazione e maturazione dell’impasto (meglio approfonditi per ottenere un prodotto digeribile, fragrante, dal gusto intenso e unico).
Unit 6- La Pizza Napoletana: intervista ad Antonio Pace
Risorse della lezione
- La rivoluzione della pizza
- Quiz: Lezione 1
- La pizza napoletana alla conquista del mondo
- Quiz: Lezione 2
- La pizza come cibo “social” fin dalle origini: un cibo nato per condividere ed essere condiviso
- Quiz: Lezione 3
- Quanta energia dà la pizza? Gli aspetti nutraceutici
- Quiz: Lezione 4
- Il gioco degli impasti tra chimica e arte: fermentazione, lievitazione e manualità
- Quiz: Lezione 5
- Una magia che a Napoli dura un minuto e mezzo: la cottura della pizza
- Quiz: Lezione 6
- Un disco prezioso: gli ori sulla pizza. Ingredienti e caratteristiche
- Quiz: Lezione 7
- Il modello economico della pizza, diffusione e successo
- Quiz: Lezione 8
Immagine slide 24
Lezione 1 (slide n. 4) - Unit 1- La pizza che non suona il mandolino
Lezione 1 (slide n. 10) - Unit 2 - La scuola romana: intervista ad Angelo Iezzi
Lezione 1 (slide n. 16) - Unit 3 - La tonda romana: intervista a Casa
Lezione 1 (slide n. 20) - Unit 4- La scuola veneta per Lello Ravagnan
Lezione 1 (slide n. 28) - Unit 5- Intervista a Matteo Aloe per il modello italiano
Lezione 1 (slide n. 33) - Unit 6- La Pizza Napoletana: intervista ad Antonio Pace
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