La misura del tempo
Il tempo per i popoli antichi
La misura del tempo e l’osservazione della sua eterna ciclicità ha condizionato per millenni le abitudini quotidiane delle comunità, ma anche i riti e le liturgie delle antiche religioni che basavano le proprie ricorrenze annuali sulla periodica ripetitività dei fenomeni celesti.
L’osservazione e la misura del tempo nei popoli primitivi era direttamente legata alle azioni necessarie alla sopravvivenza personale e del nucleo familiare; nella fase evolutiva di cacciatore-raccoglitore, l’uomo avvertiva la necessità di individuare il momento di massima intensità di luce, ovvero il mezzogiorno, immaginaria linea di confine fra mattino e pomeriggio che consentiva di programmare le attività lavorative, calcolando le ore di luce rimanenti prima del tramonto, al fine di evitare il rischio di essere sorpresi dalle tenebre lontani dal rifugio.
Durante la notte non vi era alcuna necessità di contare le ore, si aspettava semplicemente l’alba per dare inizio alle attività del nuovo giorno. Il problema della misura tempo era dunque legato al suo ciclo diurno.
Quando l'uomo da cacciatore divenne agricoltore, nacque il bisogno di conoscere e misurare la durata degli eventi climatici che inducevano trasformazioni significative nel proprio territorio, dovute principalmente all'alternanza delle stagioni di cui bisognava poterne prevedere il ciclico ritorno al fine di programmare opportunamente le azioni di preparazione del suolo di semina e di raccolto.
La cosmologia geocentrica antica
Le prime interpretazioni dei fenomeni astronomici visibili ad occhio nudo, furono basate sulla evidenza che gli astri e i pianeti visibili ad occhio nudo compissero moti regolari dall’andamento ciclico se osservati dalla terra in posizione stazionaria: da un qualsiasi punto d'osservazione situato sulla superficie terrestre, è infatti possibile sperimentare la sensazione di essere immobili al centro di un'enorme sfera sulla quale è possibile vedere gli astri ruotare. L’indiscutibilità di tali osservazioni alle diverse latitudini terrestri portò alla formulazione dell’idea filosofica-religiosa che riteneva l’uomo al centro dell’Universo.
I primi popoli che cominciarono ad osservare il cielo e a scoprirne la regolarità dei moti e la correlazione con gli eventi terrestri furono gli Egizi e i Babilonesi; la conoscenza delle posizioni degli astri e la durata dei moti raggiunsero un livello di consapevolezza e precisione ancora oggi sorprendente, ma la corrispondente descrizione dell'Universo era fortemente intrisa di elementi mitologici. I più importanti modelli cosmologici antichi furono dunque geocentrici.
ll concetto del Tempo nell'antica Grecia
Nell’antica Grecia, il concetto di tempo è stato oggetto di antiche riflessioni filosofiche per la sua duplice natura di dimensione perpetua della sua ininterrotta ciclicità, ma al tempo stesso di fenomeno provvisorio, fuggevole e mutevole, così che ogni attimo rappresenta solo un frammento d’eternità. Il concetto di tempo è stato nei secoli uno degli organizzatori cognitivi fondamentali, insieme al concetto di spazio, per la descrizione e l’interpretazione dei fenomeni naturali e delle loro trasformazioni. Nel mondo greco esistono tre interessanti modalità rappresentative del concetto molteplice di Tempo, nella sua natura triplice, o meglio tripartita nelle seguenti parole, ciascuna associata a una specifica forma iconografica nelle arti figurative dell’antichità classica ed ellenistica.
- Chronos : il tempo come successione di istanti, di ore, di giorni, tempo che scorre e divora l'esistenza;
- Aion: il tempo eternamente ciclico e fecondo, legato alla natura e alle stagioni;
- Kairos : il tempo fuggevole dell'attimo, del momento propizio, dell'occasione da cogliere.
I modelli cosmologici dell'antica Grecia: le sfere omocentriche di Eudosso
Nel periodo classico e precisamente con Platone prima e Aristotele poi, si giunse a considerare la cosmologia come una filosofia della Natura: dopo Platone nascerà infatti un'astronomia dei filosofi, sostanzialmente una cosmologia, inserita nei rispettivi sistemi di pensiero.
Il matematico Eudosso (400 a. c.) formulò un sistema basato sul movimento uniforme di sfere, definite “omocentriche”, ovvero aventi lo stesso centro, coincidente con il centro della Terra[1].
La simultanea rotazione attorno a differenti assi delle sfere dava luogo ai percorsi geometrici di Sole, Luna e pianeti che si potevano dunque assumere, approssimativamente, le posizioni osservate. Il sistema delle sfere omocentriche fu pienamente accettato da Aristotele (384 - 322 a.C.) che ne fece l'asse portante della sua teoria dell'Universo.
Le sfere, che per Eudosso erano solo dei supporti geometrici per descrivere il moto planetario, assunsero per Aristotele una realtà fisica.
[1] Cfr. Michael Hoskin, Storia dell'astronomia, Rizzoli, Milano 2001 e Evandro Agazzi, Storia delle scienze, Città nuova editrice, Roma 1984.
I modelli cosmologici nell'antica Grecia: il sistema geocentrico di Tolomeo
La teoria di Eudosso venne sostituita verso la fine del secondo secolo d. C. quando l’astronomo Tolomeo, grazie all’utilizzo di migliorati strumenti di osservazione, notò che la velocità e la luminosità dei pianeti non era uniforme, come conseguenza della variazione della loro distanza dalla Terra, in aperto contrasto con la forma del sistema geometrico troppo rigido e simmetrico delle sfere concentriche. Per spiegare tali fenomeni, mantenendo l'assunzione platonica che i moti celesti dovessero essere circolari e uniformi, Tolomeo introdusse un'ipotesi cinematica più complessa della precedente come risultato di una composizione di moti: il primo lungo una circonferenza minore, detta epiciclo e un secondo condotto lungo una circonferenza di raggio più grande, detta deferente.
Il sistema geocentrico di Tolomeo era un complesso modello geometrico che permetteva di prevedere il percorso dei corpi celesti, ma era totalmente privo di senso fisico poiché non spiegava quali forze naturali potessero innescare la cinematica complessa dei deferenti e degli epicicli.
La radicata convinzione dell’impossibilità del moto della Terra impedì agli scienziati alessandrini di accorgersi che una serie di anomalie, non ancora spiegabili nel modello suddetto, avrebbero potuto essere risolte dal moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole.
La rivoluzione copernicana e il sistema eliocentrico
Con la pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium nel 1543, anno stesso della sua morte, l’astronomo polacco Niccolò Copernico diede inizio ad una radicale trasformazione della concezione cosmologica geocentrica ponendo il Sole al centro dell’universo, intorno al quale la Terra ruota come tutti gli altri pianeti, ponendo così le basi per l’affermazione del moderno pensiero scientifico e filosofico. Sebbene non ancora preciso, in quanto prevedeva che i pianeti ruotassero lungo orbite circolari intorno al Sole, Copernico ebbe il merito di mettere in dubbio gli assiomi geocentrici del passato aprendo la strada alle successive osservazioni di Galileo e di Tycho Brahe, che permisero di giungere alle leggi di Keplero sulle orbite dei corpi celesti e alla legge di gravitazione di Newton della cosmologia moderna.
Geometrie del moto della Terra nel sistema eliocentrico
Il sistema cosmologico attuale eliocentrico considera la Terra non più come il centro dell'universo, ma come un semplice pianeta fornito di due moti principali: una rotazione quotidiana intorno al proprio asse, un moto orbitale annuale intorno al Sole.
Il moto di rotazione
Sebbene nella seconda metà del Settecento il sistema copernicano si fosse ormai imposto, per la sua evidente superiorità scientifica, al sistema cosmologico geocentrico, si ricercava ancora una prova sperimentale inconfutabile del moto diurno della Terra. L'esperimento scientifico più determinante fu progettato e realizzato da Giambattista Guglielmini: si basava sulla misurazione della deviazione verso est subita da un grave in caduta libera, rispetto alla verticale del punto di lancio. Il moto di rotazione terrestre, da ovest verso est, se calcolato rispetto al Sole, determina la durata del giorno solare, pari al valore medio di 24 ore: tale moto provoca l'alternarsi del dì (periodo di luce) e della notte (periodo di buio), la cui reciproca durata varia costantemente durante l'anno.
L'asse terrestre è inclinato di 23° 27' rispetto allo zenit e di 66° 33' rispetto al piano dell'orbita ellittica percorsa dalla Terra nel suo moto di rivoluzione annuale intorno al Sole, collocato in uno dei due fuochi della conica.
Il moto di rivoluzione terrestre
La Terra compie un moto di rivoluzione attorno al Sole in senso antiorario secondo un'orbita ellittica poco schiacciata nella quale l'Astro occupa uno dei due fuochi. Ciò determina che la distanza della Terra assuma valori sempre variabili, di cui quella massima (afelio) è di 152 milioni di km, mentre la minima (perielio) è di 147 milioni di km.
Il percorso viene effettuato con velocità diverse, come affermato dalla seconda legge dei Keplero.
La durata di un percorso di rivoluzione completo rispetto al Sole è detta anno solare ed è il tempo che intercorre fra due successivi passaggi del Sole allo zenit dello stesso tropico. La sua durata è di 365g 5h 48m.
Solstizi ed Equinozi
Il 21 dicembre, giorno del solstizio d'inverno, il polo Sud è rivolto verso il Sole, perciò nell'emisfero boreale la superficie illuminata è minore di quella in ombra: si hanno il dì più corto e la notte più lunga dell'anno (l'opposto avviene nell'emisfero australe). Nella zona compresa tra il Circolo Polare Artico e il polo Nord, il Sole non sorge e la notte dura 24 ore. Tra il 21 dicembre e il 21 marzo, nell'emisfero boreale, il dì progressivamente si allunga.
Gli antichi popoli festeggiavano il Dies Natalis Solis Invicti nel momento dell'anno in cui la durata del giorno iniziava ad aumentare, dopo il solstizio d'inverno.
Il 21 marzo, equinozio di primavera, e il 23 settembre, equinozio d'autunno, il dì e la notte hanno la stessa durata in tutti i punti della Terra. Ciò accade perché nessuno dei due poli è inclinato verso il Sole e le condizioni di illuminazione sono uguali in entrambi gli emisferi.
Il solstizio d'estate
Il 21 giugno, giorno del solstizio d'estate, il polo Nord è rivolto verso il Sole: nell'emisfero boreale la superficie illuminata è maggiore di quella in ombra e si hanno il dì più lungo e la notte più corta dell'anno (esattamente l'opposto invece accade nell'emisfero australe). Nella zona compresa tra il Circolo Polare Artico e il polo Nord, in questo giorno il sole non tramonta e il dì dura 24 ore.
A causa dell'inclinazione dell'asse terrestre, nel corso dell'anno non varia solo la durata del dì e della notte, ma anche l'inclinazione con cui i raggi solari giungono sulla superficie terrestre e quindi il riscaldamento che ne deriva; più precisamente, il riscaldamento è massimo quando i raggi solari formano un angolo retto con il piano tangente alla superficie terrestre in un punto, mentre è minore se il valore di questo angolo si riduce: a ciò si deve dunque l'alternarsi di periodi caldi e periodi freddi, cioè il succedersi delle stagioni.
Solo all'equatore, dunque, il dì e la notte hanno la stessa durata per tutto l'anno.
Le coordinate celesti e terrestri
Per individuare in maniera precisa e biunivoca un punto P lungo la superficie terrestre viene usato un sistema di coordinate sferiche, determinato da due misure angolari, latitudine e longitudine, rispetto al centro della sfera, e una lineare chiamata altitudine.
La latitudine è la distanza angolare di un punto dall'equatore, lungo lo stesso meridiano e la longitudine è la distanza angolare di un punto da un arbitrario meridiano scelto come riferimento, lungo lo stesso parallelo. Dal 1884 il meridiano fondamentale di riferimento è stato per convenzione fissato a Greenwich, presso Londra e dunque la sua longitudine è 0°. L'altitudine misura la distanza, lungo la verticale passante per il punto considerato, dal livello del mare.
Moti secondari del pianeta Terra
Oltre ai moti di rotazione e di rivoluzione, la Terra compie movimenti molto lenti detti millenari. Questi moti sono dovuti all'attrazione gravitazionale del Sole e della Luna.
Moto di precessione.
Per effetto dell'attrazione esercitata dal Sole e dalla Luna, l'asse terrestre non si mantiene sempre parallelo a se stesso nel corso dei millenni ma descrive un cono intorno all'asse dell'eclittica, con il vertice nel centro della Terra. A questo moto, che ha un periodo di 26 000 anni, si deve la precessione degli equinozi, cioè un'anticipazione del momento in cui si verificano gli equinozi. Infatti, il cambiamento di direzione dell'asse terrestre comporta la variazione dell'intersezione fra il piano dell'equatore celeste e quello dell'eclittica, intersezione che corrisponde alla linea degli equinozi. Poiché il moto conico dell'asse terrestre avviene in senso antiorario, ogni anno gli equinozi si verificano con un anticipo di circa 20 minuti rispetto all'anno precedente. Un'altra conseguenza del moto di precessione è che l'asse terrestre, nel corso del tempo, non continuerà a puntare più verso la Stella Polare, come avviene nell'era contemporanea: quando l'asse avrà percorso circa metà giro, il suo prolungamento indicherà la stella Vega, nella costellazione della Lira.
Nutazioni.
Poiché le distanze relative tra Sole, Luna e Terra variano di continuo, nel moto di precessione si notano anche piccole oscillazioni periodiche (periodo di circa 19 anni) dette nutazioni (dal verbo latino nutare, vacillare, inclinare).
La sfera celeste
Nonostante il sistema cosmologico odierno sia quello eliocentrico, il modello geometrico geocentrico della sfera celeste è oggi accettato dalla comunità scientifica nello studio dell’astronomia di posizione in quanto, per distanze elevate come quelle dei corpi celesti rispetto alla Terra, l’osservatore ad occhio nudo non riesce a valutarne le rispettive lontananze effettive, ottenendo la percezione che essi si trovino tutti lungo la superficie di una grande sfera che avvolge la Terra e che dunque pone stelle e pianeti alla medesima distanza dall’osservatore.
- Sfera celeste Fonte: cosmic-watch
Coordinate celesti. Il sistema azimutale ( 1/2 )
Un punto sulla sfera celeste, ovvero la posizione assunta da un astro, può essere determinata dalle sue coordinate astronomiche, che tuttavia variano a seconda dei sistemi di riferimento. Per la gnomonica si fa particolare riferimento ai sistemi di coordinate azimutali ed equatoriali, entrambi formati da una coppia di angoli, la cui ampiezza permette di determinare in maniera univoca un punto lungo la sfera.
Le coordinate azimutali sono un sistema di tipo soggettivo poiché dipende dalla posizione geografica dell’osservatore sulla Terra: due osservatori, posti in località differenti, pur osservando contemporaneamente lo stesso astro, otterranno valori differenti per le coordinate dello stesso. Il riferimento è formato dalla retta verticale passante per lo zenit e il nadir e il piano dell’orizzonte locale. Un generico punto della sfera celeste viene individuato mediante una coppia di valori angolari chiamati azimut e altezza.
Coordinate celesti. Il sistema azimutale ( 2/2 )
Si definisce azimut la distanza angolare tra il meridiano passante per l’astro e il meridiano locale NS; il valore si misura sul piano dell’orizzonte partendo da punto cardinale nord secondo il verso di rotazione orario.
Si definisce altezza la distanza angolare dell’astro con il piano dell’orizzonte; l’angolo viene misurato nel piano del meridiano passante per il punto sulla sfera celeste e può variare da 0° a 90° nord (quando il punto di si trova al di sopra dell’orizzonte) e da 0° a 90° sud quando il punto si trova invece al di sotto. Lo zenit ha altezza 90°, l'orizzonte ha altezza 0°. Se l’astro di cui si intende misurare la posizione secondo il sistema di coordinate azimutali è il Sole, l’azimut può variare tra 58,3° e 301,7° e tali valori corrispondono rispettivamente ai punti del tramonto e dell’alba nel giorno del solstizio estivo.
Coordinate celesti. IL SISTEMA EQUATORIALE
Il sistema delle coordinate equatoriali è invece oggettivo e non dipende dalla posizione dell’osservatore. Gli enti che costituiscono il riferimento di questo sistema sono il piano dell’equatore celeste e l’asse del mondo, passante per i poli nord e sud celesti. La posizione di un astro è definita da due angoli, la declinazione e l’ascensione retta.
Si definisce declinazione (δ) la distanza angolare dell’astro dall’equatore celeste, positiva nell’emisfero boreale, negativa in quello australe.
Si definisce ascensione retta (a) la distanza angolare tra il meridiano celeste passante per l’astro e il meridiano fondamentale passante per il punto γ. Si misura in senso antiorario partendo dal meridiano fondamentale.
È comunque possibile passare da un sistema di coordinate all’altro.
Risorse della lezione
- Sistemi cosmologici antichi e moderni
- Quiz: Lezione 1 - Sistemi cosmologici antichi e moderni
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Immagini slide 4
Il dio Aion in un mosaico romano proveniente da Sentinum (Sassoferrato)
Kairos, Bassorilevo di epoca romana, Museo delle Antichità di Torino
Peter Paul Rubens, Saturno divora uno dei figli, 1637-1638 Madrid, Museo del Prado.
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- Calcolatore solare
- Il "prosciutto" che segnava l'ora
- Leggi di Keplero - Museo Gallileo
- Le ore del sole - MANN - Orologio F by leoredelsole on Sketchfab
- Meridiana Monumentale - Museo Galileo
- Mostra Le ore del sole al Museo Archeologico Nazionale di Napoli - MANN
- Precessione degli equinozi - Treccani
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- Sistema Tycho Brahe - Museo Gallileo
- Tutte le ore del Sole. Adesso parliamo di… gnomonica
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