Introduzione. La povertà nella società preindustriale e l’”economia morale” del povero
I poveri e la carità nelle società feudali
La povertà diventa una “questione sociale” soltanto con l’avvento della società industriale.
La società feudale - che faceva discendere le diversità sociali dalla volontà divina - non nutriva timore nei confronti dei mendicanti e dei vagabondi: la loro presenza era prevista e anzi ritenuta necessaria affinché potesse essere esercitata la carità. Sotto questo aspetto era del tutto privo di rilievo che la carità si indirizzasse verso “falsi” o “veri” poveri dal momento che il suo fine ultimo era di guadagnare meriti in vista della vita ultraterrena e non di spingere i poveri neghittosi al lavoro.
Gli indigenti potevano in alcuni casi incutere timore, ma la società assegnava loro un ruolo e non tentava di espellerli o di segregarli in luoghi precisi.
I poveri non erano completamente o continuamente dipendenti dalla carità, quantunque fossero spesso in pericolo di dovervi ricorrere. Essi appartenevano piuttosto, in larga misura, alle classi lavoratrici, sia rurali che urbane, ancora legate ai mezzi di produzione e al prodotto del proprio lavoro, anche se costantemente minacciate dalla fame e dal pericolo di dipendere dalla carità. In tal senso, come precisa Karl Polanyi, il termine povero “era quindi praticamente sinonimo di «gente comune»” [1944, trad. it. 1974, 101].
La distinzione tra laboring poor e pauper
Dunque il Dialogo dei ricchi e dei poveri di Alessio Macrembolite anticipa una distinzione che diverrà importante per le epoche successive: quella tra laboring poor - il povero ancora in grado di mantenersi con il proprio lavoro anche se va incontro a periodi in cui il suo reddito non garantisce la sopravvivenza - e il pauper, il povero che per la totale insufficienza dei propri guadagni o per una condizione di inabilità fisica è costretto a dipendere stabilmente dalla carità o dalla assistenza pubblica.
Ancora nella società preindustriale, date le condizioni di generalizzata insicurezza economica, la condizione del poor e quella del pauper non erano così distanti e nel corso di una stessa esistenza o di uno stesso anno poteva capitare di sperimentarle entrambe. Lo storico Brian Pullan ad esempio osserva come i “poveri della crisi” - lavoratori occasionali, scarsamente remunerati o vedove impiegate nelle manifatture tessili - erano “rigettati immediatamente nel campo dell’assistenza e della carità dalle violente fluttuazioni del prezzo del pane che costituivano una caratteristica così evidente degli inizi della vita economica moderna”[1978, 988].
Il “lazzaro” napoletano
In un contesto storico e sociale molto diverso, come quello descritto da Wolfgang Goethe nel suo Viaggio in Italia, una figura a cavallo tra la condizione di poor e quella di pauper era il “lazzaro” napoletano. Goethe, nella celebre lettera del 28 maggio 1787 tradotta da Giustino Fortunato, contrariamente all’idea diffusa tra i viaggiatori e riformatori suoi contemporanei, che vedevano nei lazzari soltanto dei poveri oziosi, descrisse in maniera dettagliata le innumerevoli occupazioni alle quali erano intente le classi lavoratrici povere napoletane, comprese quelle svolte dai bambini che vendevano legnetti raccolti sulla spiaggia o l’acqua delle sorgenti sulfuree.
Egli osservò “i facchini….i calessari, i loro famigli e garzoni…i marinai…i pescatori sdraiati al sole – poiché tira forse un vento contrario che vieta loro di prendere il largo”. Non vide altri mendicanti se non vecchi o storpi e malati tanto da poter concludere con questa riflessione: “Più andai guardando ed esaminando accuratamente, meno potei imbattermi con veri oziosi” [Goethe, 1983, 79-80].
Ciò non implicava naturalmente che la gran parte della popolazione urbana vivesse in condizioni miserevoli.
L’economia morale
Nel periodo compreso tra il 1550 e il 1850 la protezione dei poveri in Inghilterra era assicurata da due sistemi, per lungo tempo coesistenti:
- l’economia morale,
- le leggi elisabettiane sui poveri.
L’economia morale è un sistema di scambi economici “incapsulato” (nel senso polanyiano di embedded) entro la rete delle relazioni sociali di solidarietà comunitarie che implicava la condanna morale di qualsiasi forma di guadagno realizzata a scapito degli altri membri della comunità. Pratiche che nel quadro dell’economia di mercato saranno considerate del tutto legittime e largamente incoraggiate - come ad esempio quella di ammassare nei magazzini la farina per poterla vendere successivamente a prezzi più alti – venivano fortemente avversate fino a ricorrere alla forza.
Introduzione. La nascita dell’assistenza sociale pubblica per i poveri
Le Poor Laws
L’economia morale, nonostante il suo riconosciuto carattere politico, era ancora lontana dal costituire un vero e proprio sistema di diritti, doveri e obblighi legali in soccorso dei poveri, finanziato per via fiscale.
Un sistema di questo tipo fu istituito per la prima volta con il Poor Relief Act entrato in vigore nel 1601 durante il regno di Elisabetta I, noto successivamente come Old Poor Law per distinguerlo dall’atto del 1834, la New Poor Law.
Il sistema elisabettiano di assistenza ai poveri
Cinque capisaldi:
- l’outdoor relief: sostegno al reddito nella vecchiaia o in seguito alla perdita del marito, contributi per le spese per la sepoltura, l’acquisto di scarpe, carbone e finanche di birra e tabacco, considerati beni essenziali per sopportare una esistenza grama;
- la permanenza in ospizi (almshouses) riservati ai poveri non abili al lavoro – ciechi, madri con fanciulli in tenera età, anziani - e in opifici-dormitori (workhouse) riservati a chi era in grado di lavorare;
- le “leggi sulla residenza” che regolamentavano la mobilità territoriale dei poveri (come l’Act of Settlement and Removal del 1662); in base a tali leggi avevano diritto alla assistenza soltanto i poveri che erano nati nella comunità di residenza e coloro che avevano svolto almeno quaranta giorni di apprendistato o un anno di servizio domestico nel territorio che ricadeva sotto la sua amministrazione;
- il mantenimento degli orfani e la fornitura di strumenti di lavoro e di materie prime per i poveri che rifiutavano l’internamento nella workhouse e mostravano volontà di lavorare: una sorta di rudimentale politica di formazione professionale;
- carattere obbligatorio dell’assistenza ai poveri, non più affidata all’elemosina, atto discrezionale, espressione contingente di benevolenza, magari valida nel caso particolare ma inefficace come azione di regolamentazione o repressione del pauperismo.
Le istituzioni dell’assistenza
L’obbligo di fornire assistenza ai poveri era in realtà a carico delle innumerevoli “parrocchie” (parishes): piccoli distretti amministrativi con la propria chiesa e un pastore, sottoposti al controllo di sovrintendenti (overseers) che svolgevano anche funzioni di giudici di pace.
Soltanto nel 1782 con il Gilbert Act questa frammentazione istituzionale fu ridotta mediante un processo di accorpamento in unità amministrative più ampie che poi subirà un’ulteriore accelerazione con la legge di riforma del 1934 in seguito alla quale i sovrintendenti saranno sostituiti da una rete di Board of Guardians eletti dai contribuenti locali.
I casi di persistenza della protezione comunitaria
Non dappertutto tuttavia l’intervento pubblico nel campo dell’assistenza ai poveri si sostituì quasi del tutto alla carità privata e alle forme di protezione comunitaria come l’economia morale con l’obiettivo di reprimere il vagabondaggio e la mendicità. Ad esempio nella Svezia del tardo Ottocento descritta da Per Olov Enquist nel romanzo Un’altra vita permane una forte contiguità tra queste due forme di assistenza. Nel brano tratto dal romanzo, per volontà dello stesso autore, sono riportati in corsivo i testi originali del documento.
Al consiglio comunale del 1 maggio 1885 è stato deciso che la vedova Lovisa Andersson, per evitare le spese di alloggio, sia ospitata a turno nelle case del paese con i suoi figli. Un giorno per ogni pertica di seminato; è un anno di carestia, si barattano gli attrezzi in cambio di farina. Un secchio, dei finimenti, un setaccio, una pelle, quattro falci; in contropartita dodici marchi di farina…..il verbale del consiglio comunale del 1 maggio 1868 riferisce che il contadino Erik Andersson di Hjoggböle aveva mandato due ragazzi nel bosco a raccogliere corteccia per fare il pane. Sulla via del ritorno i ragazzi dovevano passare davanti a un pascolo, e le vacche, che erano affamate, erano corse loro incontro e avevano divorato tutta la corteccia. I ragazzi debilitati dalla fame, non ebbero la forza di difendersi né di tornare nel bosco. Viene concesso un sostegno, 2 libbre di farina di prima qualità, 2 libbre di seconda scelta... Costruito ricovero per poveri a Sjön, Hjoggböle, consistente in una stanza a disposizione di chi non ha un alloggio. Si tratta in genere di vedove di soldati, con figli.
La povertà dei contadini
Nei paesi dell’Europa orientale e nel Regno delle Due Sicilie le condizioni di impoverimento e di sfruttamento dei contadini – talvolta ridotti nuovamente ad uno stato prossimo alla servitù - non si manifestavano nelle forme esplicite del pauperismo. Le specifiche condizioni di lavoro che si determinarono, infatti, ne ridimensionarono la rilevanza dal momento che, come scrive in proposito Geremek, “le strutture agrarie nascondono meglio le realtà della povertà” [1980, 1063].
Nel resto della nostra penisola “per tutto il XIX secolo, avvengono trasformazioni di contratti e di ruoli e si estende il proletariato, soprattutto rurale, senza sfollamento nelle campagne, e soprattutto senza la nascita di città industriali di tipo manchesteriano” [Daneo, 1984, 92, corsivo nel testo]. In particolare nella Valle Padana, “Le crisi agrarie … hanno soprattutto prodotto l’emigrazione; in grado estremamente minore la mendicità e il vagabondaggio” [Montaldi 1961, 12].
Prima di proseguire, leggi i paragrafi 3 e 4 del I Capitolo di E. Morlicchio Sociologia della povertà (pp. 24-32).
Il sistema Speenhamland
Tornando al caso dell’Inghilterra, a fine Settecento l’assistenza ai poveri divenne un terreno di scontro tra la declinante aristocrazia terriera inglese, minacciata dalla concorrenza dei salari di fabbrica e dalla attrazione esercitata dalle città, e la nascente borghesia manifatturiera urbana favorevole alla libera circolazione della manodopera. Espressione di questo scontro fu l’approvazione e la successiva abrogazione del “sistema Speenhamland”, frutto di un provvedimento approvato nel 1795 da venti giudici di pace riunitisi al Pelican Inn nella località di Speenhamland che prevedeva un’integrazione salariale per i lavoratori agricoli basata su tre parametri:
- le oscillazioni del prezzo della farina
- i livelli dei salari
- la composizione della famiglia (in base alla idea del carattere “familiare” del salario, ovvero del fatto che esso doveva bastare anche al mantenimento della famiglia).
L’atto di Speenhamland non fu una vera e propria legge, quanto piuttosto una raccomandazione e la sua applicazione fu molto varia sia dal punto di vista territoriale che dell’entità dell’integrazione salariale (in alcuni casi non si tenne conto del numero di figli e del costo del pane). Esso tuttavia ebbe una grande importanza perché fornì l’occasione per un violento attacco sia al sistema dell’assistenza ai poveri, accusato di essere troppo generoso, sia alle leggi sulla residenza considerate d’ostacolo alla formazione di un moderno mercato del lavoro.
Le tesi sull’equilibrio naturale tra popolazione e risorse
Townsend “prepara il terreno” a Malthus. Nel suo celebre Saggio sul principio della popolazione del 1798 Malthus elaborò il suo famoso “principio” in base al quale non può esservi un equilibrio economico se non quello stabilito dalle leggi di natura: la popolazione aumenta in progressione geometrica mentre la produzione agricola può aumentare soltanto in progressione aritmetica in virtù dei rendimenti decrescenti dei terreni (è evidente in questo caso la influenza di Ricardo).
La tendenza della popolazione ad aumentare più rapidamente dei mezzi di sussistenza rende del tutto inutile qualsiasi tipo di redistribuzione del reddito a favore dei poveri, in quanto il problema principale, per Malthus, risiede nella carenza di offerta e non di domanda di generi alimentari. La soluzione al problema della povertà poteva dunque venire solo dal contenimento della dinamica demografica volto a ristabilire l’equilibrio naturale tra popolazione e risorse, compromesso dall’intervento delle poor laws.
Malthus riteneva che, poiché le epidemie, le guerre e la malnutrizione non erano sufficienti a ristabilire l’equilibrio demografico, i poveri avrebbero dovuto astenersi dal procreare allo scopo di non moltiplicarsi in eccesso e da poter sfamare un numero di figli pari all’ammontare dei loro salari (considerati una variabile indipendente).
La feroce satira di Swift
Benché riferita alla causa irlandese, nel 1729, Jonathan Swift aveva pubblicato un piccolo libro dal titolo Una modesta proposta: per impedire che i bambini irlandesi siano di peso per i loro genitori o per il Paese, e per renderli utili alla comunità.
In esso Swift suggeriva - con lo stile delle lettere commerciali - di sostituire ai maialini di latte, che andavano scomparendo, succulenti bambini di cui invece abbondavano le classi più povere. In tal modo essi non sarebbero stati più di peso per i genitori o per la parrocchie che dovevano provvedere a sfamarli e vestirli. Quello che rende straordinario l'opera è il fatto che, ad una prima lettura, non sembra affatto uno scherzo. La perorazione è accorata, convincente e ben argomentata.
E’ interessante notare poi come nel libello la condizione di pauper (il povero che vive di elemosina) e quella di poor (il lavoratore che non è in grado di mantenere la famiglia con i propri miseri guadagni) tendono ancora a sovrapporsi o quantomeno a risultare contigue.
Swift scrive infatti “…la mia intenzione non è soltanto quella di preoccuparmi dei bambini dei mendicanti di professione; occorre andare molto oltre, e prendere in considerazione tutti i bambini di una certa età nati da genitori di fatto altrettanto incapaci di provvedere per loro di quanto lo sono coloro che mendicano per strada” [1729; trad. it. 2007, 37].
Introduzione. La New Poor Law
Una nuova concezione dell’assistenza
L'abolizione delle norme varate a Speenhamland segnò la piena affermazione del mercato del lavoro e diede inizio ad una nuova concezione dell'assistenza, i cui indirizzi sarebbero rimasti sostanzialmente inalterati per gran parte del XIX secolo. Pur con differenze da paese a paese, si diffuse la concezione che attribuiva agli aiuti ai poveri la responsabilità diretta della crescita del pauperismo e limitava l’assistenza ad azioni di soccorso di tipo residuale, selettive, erogate preferibilmente al di fuori del domicilio dell'assistito, in ambienti severamente disciplinati.
Questa svolta è ben rappresentata dal Poor Law Reform Act del 1934. Il testo della legge si basò sui lavori di una commissione appositamente istituita - la Royal Commission on the Poor Laws - presieduta dall’economista Nassau Senior. La Commissione attraversò in lungo e largo l’Inghilterra e il Galles ispezionando tremila parrocchie e cittadine, intervistando quelli che, con un termine oggi in voga, definiremmo stakeholder: responsabili locali della parrocchie, beneficiari, sceriffi di contea. Tuttavia la pressione politica in direzione di una rapida approvazione della legge di riforma impedì che questo vasto materiale empirico divenisse una parte integrante della relazione finale.
Le novità introdotte dalla nuova normativa
Come si può vedere dalla figura riportata nella slide precedente le principali innovazioni apportate dalla legge del 1834 furono:
- la limitazione dell’outodoor relief ai soli poveri non abili al lavoro;
- l’obbligo di internamento nelle workhouse per i poveri abili;
- l’applicazione del principio della less elegibility il quale stabiliva che la condizione di povero assistito doveva essere resa “meno preferibile” di quella del lavoratore delle classi inferiori allo scopo di non incrementare l’ozio e scoraggiare i poveri che erano considerati in grado di guadagnarsi da vivere con il proprio salario dal ricorrere al sussidio.
La distinzione tra ‘poveri meritevoli’ e ‘poveri non meritevoli’
La legge del 1834 rese dunque più stringente la distinzione tra deserving poor e undeserving poor:
- “poveri meritevoli” (vedove con e senza bambini, vecchi e invalidi, trovatelli) di cui la società doveva farsi carico mediante l’assistenza a domicilio,
- “poveri non meritevoli” (manovali senza lavoro, disertori o soldati di ventura, madri nubili – spesso giovani serve abusate dai loro padroni – garzoni sciolti da ogni vincolo con la corporazione) i quali potevano essere assistiti solo nell’ambito delle workhouse.
La distinzione tra deserving poor e underserving poor codificata dalla legge del 1834 eserciterà la sua influenza sulla legislazione sociale e sulle forme di rappresentazione sociale dei poveri a lungo. Ne è un esempio il divertente scambio di battute nel Pigmalione di George Bernard Shaw tra Alfred Doolitttle e il professor Higgins, linguista raffinato, che ha scommesso di trasformare in una gentildonna la figlia di Doolittle, Liza, venditrice ambulante di fiori. Doolittle, secondo gli standard morali borghesi dell’epoca, si autodefinisce un “undeserving poor” lamentandosi del diverso trattamento riservato alle vedove che ricevono aiuto “da sei diversi enti di assistenza in una sola settimana per la morte di un solo marito”.
Il trattamento delle mogli e delle madri sole
La legge del 1834 assumeva come norma di riferimento la famiglia del maschio marito e padre (male breadwinner), senza tener in alcun conto l’elevato numero di donne che dovevano mantenere da sole i figli o i fratelli a seguito della rottura delle relazioni familiari e comunitarie indotte dai rapidi processi di trasformazione economica che viveva l’Inghilterra a quel tempo. Lo storico inglese Englander offre numerosi e interessanti esempi a questo riguardo:
“Le mogli …non avevano una esistenza autonoma ma erano costrette a seguire i mariti nella workhouse. Ad una moglie indigente poteva essere negata la possibilità di entrare nella workhouse nel caso in cui suo marito si rifiutava o, all’opposto, veniva trattenuta se il marito si rifiutava di lasciare la workhouse. La moglie di un povero non abile al lavoro veniva classificata allo stesso modo, indipendentemente dalle sue effettive condizioni fisiche, e diventava anche ella automaticamente un pauper se il marito soltanto riceveva assistenza medica” [1998, 18].
Un trattamento ancora più stigmatizzante era riservato alle madri sole e ai loro figli, oggetto due volte di condanna morale: per aver avuto un figlio al fuori del matrimonio e per il fatto di essere povere. In questo caso “Non veniva fatto alcun tentativo di costringere il padre putativo a provvedere al mantenimento sulla base che in tal modo si sarebbe “esteso il diritto di contrarre matrimonio a persone indegne e immeritevoli” [Englander, 1998, 18].
Le mobilitazioni contro la New Poor Law
L’opposizione alla New Poor Law fu così violenta da far temere in alcuni casi una guerra civile. Intere comunità si mobilitarono per evitare la rimozione forzata dei poveri dalle parrocchie dove risiedevano da decenni o per opporsi alla costruzione di nuove workhouses.
Nei distretti industriali del Nord dell’Inghilterra a seguito della opposizione operaia la legge non poté essere applicata fino al 1860. Nonostante ciò tuttavia alla fine, nota Englander “La poor law divenne un dato di fatto che le classi lavoratrici non poterono più ignorare” [1998, 44].
L’ombra lunga dei principi della legge del 1834
La legge del 1834 getta un’ombra lunga sul presente. Alcuni suoi princîpi infatti regolano tuttora le politiche sociali:
- l’idea che il povero possa essere assistito solo nel caso sia in grado di dimostrare di essere del tutto incapace di lavorare (per infermità, malattia, ma anche vecchiaia, vedovanza con pesanti carichi familiari) assumendo anche l’onere della prova;
- l’organizzazione su base locale della assistenza, regolamentata nel caso inglese dalle “leggi sulla residenza”;
- Il finanziamento su base locale dei sistemi di assistenza sociale senza la previsione di meccanismi perequativi tra aree con una maggiore presenza di poveri e aree più ricche.
Prima di proseguire, leggi il Paragrafo 5 del I Capitolo di E. Morlicchio, Sociologia della povertà (pp. 33-45).
Risorse della lezione
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