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A guardarlo dall’alto, grazie ai satelliti, il nostro pianeta è per la maggior parte blu con delle venature bianche, come marmo. È il blu del 71% dell’acqua che colora la Terra sotto forma di oceani, mari, laghi, torrenti, fiumi, falde acquifere e – allo stato solido – il bianco dei ghiacciai e delle calotte polari.

Parliamo dell’importanza delle risorse idriche e della tutela della biodiversità marina con la professoressa Anna Di Cosmo, docente di zoologia e coordinatore del Corso di Laurea Magistrale in Biology and Ecology of the marine environment and sustainable use of the marine resources, Laurea Mare, presso il dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli, corso di studio in collaborazione con la storica Stazione Zoologica di Napoli Anton Dohrn.

Professoressa Di Cosmo, come è la salute dei nostri mari?

Bisogna essere realisti e ottimisti allo stesso tempo, considerando che la biodiversità degli oceani e dei mari è in forte diminuzione a seguito dell’impatto determinato dalle pressioni dirette o indirette esercitate dalle attività umane. Le risorse offerte dal mare non sono infinite e lo sfruttamento non sostenibile ha sicuramente determinato un elevato livello di stress. Tuttavia, e qui compare l’ottimismo, ci sono aree importanti sul territorio nazionale, che sono attualmente  sotto protezione, mi riferisco al progetto comunitario Rete Natura 2000. Se guardiamo al nostro territorio, la  Campania, troviamo sei Aree Marine Protette: Punta Campanella e Regno di Nettuno e, nel salernitano, Santa Maria di Castellabate e Costa degli Infreschi e della Masseta; a queste si aggiungono il parco sommerso di Baia e il parco sommerso della Gaiola. Sono tutte da considerare come laboratori di sostenibilità e strumenti di conservazione della biodiversità. 

I danni maggiori alla sopravvivenza della biodiversità marina da cosa sono determinati?

La pesca eccessiva e/o illegale può considerarsi una delle principali cause insieme alla grande invasione di specie non indigene. Poi la pesca a strascico e l’inquinamento dovuto ai dragaggi e al rilascio di sostanze tossiche come la plastica e i contaminanti chimici, tuttavia altri fattori di rischio sono anche la presenza eccessiva di nutrienti e il traffico marittimo in continuo aumento, come accade appunto nel Mar Mediterraneo. 
Se consideriamo tutto questo, combinato con i cambiamenti climatici e la conseguente acidificazione degli oceani viene fuori una miscela esplosiva che determina perdita di biodiversità soprattutto negli ecosistemi costieri più sensibili e fragili. 

Proprio il bacino del Mediterraneo è un “hot-spot di biodiversità” tra i 36 individuati a livello mondiale da Conservation International. Cosa rende il nostro mare così prezioso per la salute del pianeta?

Le ultime stime effettuate sulla biodiversità marina del Mediterraneo ci dicono che la presenza di specie si aggira intorno a 17.000. La biodiversità del Mediterraneo rappresenta, a seconda dei gruppi tassonomici, dal 4 al 25% della diversità di specie marine globali. Il Mediterraneo contiene circa il 7.5% delle specie mondiali in una superficie pari a 0.82%. Si può quindi dedurre che la ricchezza di specie per area è circa 10 volte superiore alla media mondiale.  

Quali specie endemiche sono più minacciate?

Tra le specie più minacciate c’è la foca monaca mediterranea. Attualmente meno di 700 esemplari sopravvivono in natura, invece fino all’800 era presente lungo tutte le coste italiane. Anche la Patella ferruginea, la patella più grande del Mediterraneo con più di 10 cm di lunghezza, corre grandi rischi. In passato è stata oggetto di raccolta indiscriminata e oggi la si può trovare solo in aree costiere poco frequentate in Sardegna, Liguria, Calabria e Toscana.
Un’altra specie in difficoltà è la Pinna nobilis il più grosso e longevo mollusco bivalve del Mediterraneo. In questo caso, la comparsa di un agente patogeno, appartenente ai micobatteri, sta di fatto causando un’altissima mortalità delle popolazioni di questa specie endemica protetta, anche in altri paesi, quali Grecia, Spagna e Francia. La specie rischia l’estinzione e sarebbe un’insostituibile perdita non solo per il suo valore storico/culturale e di identità ma anche per quello ecologico: infatti la Pinna nobilis con le sue estese e dense popolazioni riesce, forse è meglio dire riusciva, a formare un substrato duro sui fondali sabbiosi offrendosi alla colonizzazione di altri organismi e contribuendo enormemente al mantenimento di un alto livello di biodiversità.

Ci sono rischi anche per le specie vegetali e i coralli del Mediterraneo? 

Sì, ad esempio la Posidonia oceanica, endemica del Mar Mediterraneo, è una pianta che forma delle vere e proprie praterie di grandissima valenza ecologica perché formano la comunità climax del Mediterraneo. La Posidonia ospita un’estesa varietà di organismi che vi trovano nutrimento e rifugio ed esercita una notevole azione di protezione all’erosione nella linea di costa. Nel mondo corallino, penso a specie come la Lophelia pertusa e la Madrepora oculata, che vivono a elevate profondità, dove i più pensano che non ci sia vita, costruendo barriere coralline fondamentali nell’ospitare tantissime qualità di specie, purtroppo sono messe a rischio da attività come la pesca a strascico. 

Per tutelare le risorse marine servono nuove professionalità?

Sì. Nella consapevolezza che attività quali la pesca, il turismo e l’acquacoltura incidono in modo rilevante sull’assetto economico nazionale occorre però garantire il mantenimento di un buono stato di salute, come richiesto dalla Direttiva Europea “Marine Strategy“. Il modo per garantire una crescita “blu” sostenibile risiede nella stretta relazione tra biodiversità ed ecosistemi e tra questi e l’erogazione e l’utilizzo dei servizi ecosistemici. Sono queste le sfide da affrontare, non domani ma nell’immediatissimo futuro. Il corso di Laurea Mare che coordino si propone esattamente di formare scienziati e professionisti del mare in grado di attuare le strategie per un  uso sostenibile delle risorse marine naturali, grazie alla didattica “sul campo” che  si avvale di un ricco patrimonio di collaborazioni scientifiche nazionali e  internazionali.

Alla ricerca continua di soluzioni di cura e salvaguardia del mare e dei suoi abitanti.

È proprio vero. Ad esempio i sistemi e le metodologie per la pianificazione e l’uso sostenibile dell’ambiente marino, la tutela e la conservazione della biodiversità e l’impiego dei servizi ecosistemici sono temi centrali anche nel Piano di Azione Triennale del Cluster Tecnologico nazionale “Blue Italian Growth” (BIG) al quale la Federico II partecipa tramite una Task Force Blue Growth-Big Fed II che vede raccolti diversi dipartimenti e gruppi di ricerca dell’Ateneo, tra i quali anche il gruppo da me coordinato. A luglio scorso è stata lanciata la call per la presentazione di progetti nell’ambito: “Per una ripartenza blu e green dell’Italia”, alla quale il mio gruppo ha partecipato con una proposta.

Serve l’impegno di tutti, sin da subito, per garantire un mondo “più blu e più verde” come augurato da António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, in occasione dell’ultimo Ocean Day l’8 giugno scorso. Un mondo dove, ha dichiarato, la tutela delle risorse marine e naturali si accompagna anche alla nascita di nuove opportunità professionali ed economiche.